venerdì 9 marzo 2012

La Robin Tax taglia i dividendi dell'Enel. E i risparmiatori pagano

I nodi della Robin Hood Tax iniziano a venire al pettine. L’aumento (dal 6,5 al 10,5%)  della tassa sull’energia voluto da Giulio Tremonti la scorsa estate per sostenere i conti pubblici si è aggiunto agli effetti della crisi economica ed è piombato dritto dritto sulla testa dell’Enel. Il gruppo, malgrado l’inevitabile calo dei consumi, è riuscito a chiudere l’esercizio 2011 con ricavi in crescita dell’8% (a 79,5 miliardi) e un margine operativo salito dell’1,4% (a 17,7 miliardi). Questo non è bastato, però, a tenere in piedi l’utile, che è scivolato del 5,5% a 4,1 miliardi.

Dietro la diminuzione c’è, appunto, lo zampino della Robin Tax. La trovata dell’ex ministro dell’Economia, si legge nel comunicato dell’Enel, «ha comportato un maggiore carico fiscale dell’esercizio che ha più che compensato il miglioramento della gestione operativa e finanziaria del gruppo». La conseguenza è che per tenere il passo ed affrontare un altro anno di recessione l’Enel ha deciso di stringere la cinghia. Non tanto sul fronte degli investimenti, che verranno «ottimizzati», ma nel periodo del piano 2012-2016 ammonteranno comunque alla cifra non indifferente di 27 miliardi. La sforbiciata arriverà, invece, sui dividendi. Da una percentuale del 60% degli utili si passerà al 40%. Facendo due conti si scopre che la partita per il Tesoro non è così conveniente come forse pensava Tremonti.
Nel 2011, infatti, il bottino che finirà nelle casse dello Stato (che detiene il 31,2% dell’Enel) sarà di circa 760 milioni. Nel 2012, però, con un utile netto ordinario stimato in 3,4 miliardi (per effetto, ancora una volta, di crisi e tasse) e un taglio del dividendo al 40%, la cedola per Via XX Settembre si assottiglierà a 420 milioni, con una perdita di ben 340 milioni. Se si pensa che il gettito aggiuntivo che l’Enel versa all’erario con la Robin Tax è di circa 400 milioni l’anno, si capisce che il gioco non funziona. Lo Stato non guadagna granché e tutti gli altri azionisti dell’Enel, compresi i piccoli risparmiatori, si trovano con meno soldi in tasca.
Malgrado un peso del fisco eccessivo e quella che definisce «atarassia amministrativa» sul fronte regolatorio e autorizzativo che penalizza gli investimenti, Fulvio Conti è ottimista. «Non scapperò dall’Italia», ha detto l’ad commentando la rinuncia di British Gas al rigassificatore di Brindisi (e sottolineando la lungimiranza del gruppo che è uscito dall’operazione nel 2005), «ma ho visitato altri Paesi e ci sono alcune cose che abbiamo da imparare da altre realtà. Spero che l’iniziativa del Governo attuale porti a semplificazioni e a rimuovere le incrostazioni amministrative».
C’è poca preoccupazione, infine, per il declassamento del rating ufficializzato in serata da S&P (da A- a BBB+, come quello dello Stato). «L’impatto sul debito (che è previsto in discesa a 30 miliardi nel 2016, ndr) sarà marginale, al massimo di 15-20 punti base», ha spiegato il cfo Luigi Ferraris.

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