Si mette male sulla riforma del Lavoro. Elsa Fornero traballa sull’articolo 18 e promette «una paccata di miliardi» per indorare la pillola ai sindacati. Ma il muro delle sigle non si incrina. Anzi, ad ingrossare il fronte del no arrivano anche le piccole imprese.
Il ministro del Lavoro ha prima confermato i tempi e ribadito l’intenzione del governo di andare avanti e chiudere «molto in fretta», con l’obiettivo di smantellare i «privilegi» prevedendo «più facilità in uscita». Poi, ha lanciato la sfida sulle risorse per gli ammortizzatori sociali: «È chiaro che se uno comincia a dire no, perché dovremmo mettere una paccata di miliardi e dire “poi voi ci dite di sì”? Non si fa così». Immediata la replica del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che ha gettato benzina sul fuoco, assottigliando di fatto le speranze di un esito positivo della trattativa. «Non ero al tavolo» con il governo, ha detto, «però nessuno mi ha riferito di aver visto una paccata di miliardi. Forse si sono dimenticati di dirmelo». Più cauto, in questa fase, il Pdl, dove le parole della Fornero sono state lette come un segnale di debolezza. Il partito del Cavaliere ieri ha ribadito il sostegno alla riforma sulle maggiori tutele in entrate e minori rigidità in uscita. Un sostegno che nasce proprio dal timore che i veti incrociati di sindacati e Pd riescano, alla fine, ad annacquare i progetti del ministro, in particolare sul tema dei licenziamenti. «Il Pdl», ha detto l’esperto di previdenza e lavoro Giuliano Cazzola, «appoggerà la riforma del governo nella revisione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori».
Sul fronte opposto i sindacati, compresa la Cisl, e le imprese, a partire dalle piccole, avvertono: o si cambia o salta il tavolo. Il nodo, adesso, prima ancora dell’articolo 18 è il nuovo sistema di ammortizzatori sul tavolo della trattativa, che anticipa lo stop alla mobilità riducendone la durata (a 12-18 mesi dal massimo di 36-48 mesi di oggi), e che alle organizzazioni sindacali non piace perché, dicono, non allarga la platea e rischia di lasciare per strada molti lavoratori per l’effetto combinato con l’innalzamento dell’età di pensione.
Le imprese, quelle piccole, temono un aumento dei costi, con l’aggravio sui contributi. Le grandi, invece, hanno paura dell’impatto sulle ristrutturazioni aziendali. La strada è stretta. La tensione è alta. Se il governo non modifica la proposta sulla mobilità il tavolo salta, è il messaggio che manda a chiare lettere il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, che aggiunge: «La Fornero si prende la responsabilità di una rottura sociale che noi non vogliamo». Per il leader della Cgil, Susanna Camusso, «siamo di nuovo di fronte», dopo le pensioni, «a una riforma che non allarga le tutele a tutti ma anzi riduce quelle esistenti. Se non ci saranno le risposte e le risorse decideremo cosa fare». Anche secondo il numero uno della Uil, Luigi Angeletti, «si può arrivare a una conclusione. Il problema sta tutto nella volontà del governo di mettere a disposizione le risorse necessarie». Di traverso pure artigiani e commercianti. «L’aggravio di costi previsto dalla riforma del lavoro presentata dal governo è inaccettabile. Se non ci saranno modifiche sostanziali, non firmeremo l’accordo», è la linea indicata dal presidente di Rete Imprese Italia, Marco Venturi. Il ministro, da parte sua, insiste sulla bontà della riforma e parla di «inclusione e universalità». «Confido nell'accordo e lavoro per questo», assicura. E sulle risorse, ripete: «Mi sono impegnata a che non vengano tolte dall'assistenza. Mi sembra sia un buon impegno. Avrei voluto sentire una piccola parola di apprezzamento».
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