giovedì 14 aprile 2016

Via alle pensioni part-time. Ma le donne restano fuori

Doveva essere, negli annunci, il primo passo verso un ammorbidimento della Fornero e un abbozzo di flessibilità in uscita. Si trasformerà nell’ennesima tagliola previdenziale, pronta a lasciare intere schiere di lavoratori a bocca asciutta.

Ieri, con solo un mese di ritardo rispetto ai 60 giorni previsti nella legge di Stabilità, il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha firmato il decreto interministeriale che disciplina il part-time agevolato in uscita per i lavoratori prossimi alla pensione.
Il meccanismo della novità, a prima vista, è semplice e lineare. Tutti coloro che hanno i requisiti, si legge in una nota del ministero, potranno concordare col datore di lavoro il passaggio al part-time, con una riduzione dell’orario tra il 40 ed il 60%, ricevendo ogni mese in busta paga, in aggiunta alla retribuzione per il part-time, una somma esentasse corrispondente ai contributi previdenziali a carico del datore di lavoro sulla retribuzione per l’orario non lavorato. Inoltre, per il periodo di riduzione della prestazione lavorativa, lo Stato riconosce al lavoratore la contribuzione figurativa corrispondente alla prestazione non effettuata, in modo che alla maturazione dell’età pensionabile il lavoratore percepirà l’intero importo della pensione, senza alcuna penalizzazione. In concreto, se un lavoratore prende 1.500 euro netti al mese e passa ad un part-time al 50%, invece di 750 euro prenderà, aggiungendo la metà dei contributi versati dall’azienda all’Inps (il 23,8%), circa 975 euro di paga.

Il primo problema nasce sui requisiti. Il part-time agevolato è riservato, si legge nel decreto, «ai dipendenti del settore privato», assunti a tempo indeterminato, «che maturano entro il 31 dicembre 2018 il requisito anagrafico per il conseguimento» della pensione di vecchiaia e che abbiano almeno 20 anni di contributi. Il contratto ad orario ridotto si esaurirà al raggiungimento di tale requisito. Per gli uomini, purché ovviamente non siano impiegati nel pubblico, non ci sono particolari intoppi. Potranno accedere al beneficio tutti i lavoratori nati fino al maggio del 1952 (63 anni e sette mesi alla fine del 2015) che nel 2018 potranno andare in pensione con i 66 anni e sette mesi previsti dalla Fornero corretta con l’adeguamento all’aspettativa di vita calcolato dall’Istat.
Per le donne il percorso è più accidentato. Anzi, come ha spiegato la Uil, per loro l’opzione è praticamente «preclusa». Le lavoratrici del settore privato nate nel 1951 sono già andate in pensione nel 2012 grazie alla finestra mobile e comunque potrebbero mantenere il part time solo per pochi mesi, visto che attualmente per le donne i requisiti scattano a 65 anni e sette mesi. Quelle nate nel 1952 potranno andare in pensione quest’anno grazie alla deroga prevista dalla Fornero per le lavoratrici che hanno 64 anni di età. Chi è nata dopo non potrà comunque accedere perché dal primo gennaio 2018 (in ossequio alla Fornero) anche le donne andranno in pensione a 66 anni e sette mesi e quindi maturerà il diritto a partire dal 2019.

Una farsa? Il governo è convinto che «l’invecchiamento attivo» sbloccherà le assunzioni e accompagnerà i lavoratori più anziani verso la pensione. La pensa diversamente l’ex ministro Maurizio Sacconi, oggi presidente della commissione Lavoro del Senato, secondo cui lo strumento«sarà utilizzato da pochissime grandi imprese e il part-time sarà vissuto come una finzione».
Se a questo si aggiunge il restringimento della platea operato dall’esclusione delle donne, si capisce bene l’esiguità dei fondi stanziati dalla legge di stabilità, che per il provvedimento prevede una copertura di 60 milioni nel 2016, 120 nel 2017 e 60 nel 2018. Facendo due calcoli veloci, considerando una contribuzione media all’Inps di 6mila euro e quindi 3mila euro di contributi figurativi a carico dello Stato, le risorse potrebbero incentivare al massimo 20mila lavoratori.
In ogni caso, chi volesse usufruire del nuovo part-time dovrà verificare i requisiti e concordare un contratto con l’azienda. Dopo la stipula, il decreto prevede il rilascio, in cinque giorni, del nulla osta da parte della Direzione territoriale del lavoro e, da ultimo, il rilascio in cinque giorni dell’autorizzazione conclusiva da parte dell’Inps.

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