Suona come una beffa la notizia arrivata ieri da Berlino. Mentre in Italia continua il clamoroso balletto di dichiarazioni, annunci e contro annunci sulla pelle dei pensionati, il governo di Angela Merkel ha deciso di aumentare gli assegni previdenziali di circa il 5 per cento dal primo luglio. L’operazione, che ha tra gli obiettivi quello di riequilibrare i trattamenti tra Est e Ovest, è stata resa possibile principalmente dal basso tasso di disoccupazione. Fattore che noi non si intravede neanche all’orizzonte.
Il diverso contesto non impedisce, però, l’amara constatazione: qui, come ha detto Tito Boeri, viviamo nel terrore di dover lavorare fino a 75 anni per prendere un assegno da fame, lì dalla prossima estate la pensione sarà un po’ più robusta.
A peggiorare il quadro catastrofico tratteggiato dal presidente dell’Inps (che sarà confermato nelle 150mila buste arancioni spedite in questi giorni) ci pensa lo stato confusionale del governo. La macchina della flessibilità sembra essersi messa in moto. Ma in che direzione stia andando è difficile a dirsi. Ieri, tanto per confondere un altro po’ le idee, il sottosegretario alla presidenza Tommaso Nannicini, che martedì ha gelato il ministro Pier Carlo Padoan spiegando che la flessibilità costa troppo (dai 5 ai 7 miliardi), ha deciso di ricevere a Palazzo Chigi Boeri, che sull’uscita anticipata sta martellando da mesi.
L’idea del presidente dell’Inps (penalizzazione del 3% l’anno per chi vuole lasciare in anticipo) costerebbe 3 miliardi nel 2017, 4,2 nel 2018 e 4,9 nel 2019. Non bruscolini. Viene il sospetto, allora, che il governo sia più interessato a come Boeri aveva proposto di finanziare la riforma, ovvero con il solito contributo di solidarietà a carico delle pensioni medio-alte più favorite dal sistema retributivo.
Il tam tam che arriva da Palazzo Chigi, infatti, continua a riportare tutte ipotesi di lavoro che non pesino troppo sui conti pubblici.
Accanto all’uscita con penalizzazioni, allo studio del governo ci sarebbero il prestito pensionistico, molto gettonato, la staffetta generazionale e una incentivazione all’uso del Tfr, con la riduzione delle tasse sui fondi pensione e un automatismo del conferimento alla previdenza integrative. Soluzioni che hanno come comun denominatore quello di scaricare il costo dell’anticipo principalmente sul lavoratore. «Non ci sono annunci, ma un impegno da parte del governo», ha detto il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei. Tutt’altra l’opinione dei sindacati. «È un nno che sentiamo annunci, anche contraddittori», ha spiegato la leader della Cisl, Annamaria Furlan. Mentre per Susanna Camusso, segretario Cgil, «con le dichiarazioni come quella di Boeri rischia di passare un messaggio pericoloso di sfiducia ai giovani». Va dritto al punto il numero uno della Cisl, Carmelo Barbagallo, secondo cui il governo vuole fare «le nozze con i fichi secchi»: «Se non si mettono i soldi di quale apertura di Padoan parliamo?».
Intanto alla Camera ha deciso di correggere al ribasso i coefficienti di calcolo delle pensioni. Un adempimento conseguente al passaggio dal retributivo al contributivo, spiegano dall’ufficio di presidenza. Ma secondo le opposizioni si tratta di una mossa per evitare che gli assegni dei deputati più anziani continuassero a lievitare malgrado la riforma.
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