mercoledì 27 aprile 2016

Roma capitale dei condoni mai pagati

C’è chi accusa i governi di usare i condoni per fare cassa. Un bel colpo di spugna in cambio di soldi. Pochi, maledetti, ma subito. Ecco, in Italia neanche i patti con il diavolo riescono. Nel senso che la sanatoria arriva, gli incassi no. A complicare le cose, manco a dirlo, la burocrazia. Che su una cosa è inattaccabile e granitica: non guarda in faccia nessuno. Negli uffici della pubblica amministrazione, sia essa locale o centrale, tutto resta impantanato, senza distinzione di sorta.

E così, incredibilmente, è accaduto anche per buona parte delle oltre 15 milioni di domande di condono presentate dal 1985 al 2003, anno dell’ultima sanatoria varata in Italia, con il governo Berlusconi. Su 15,4 milioni ben 5,5 milioni, più di un terzo, sono ancora da lavorare. E circa il 70% di esse risale addirittura a 30 anni fa, quando vide la luce la prima legge, sotto il governo Craxi.
A fotografare la situazione dei condoni italiani, con un lavoro certosino condotto su tutti i comuni al di sopra dei 20mila abitanti e a campione su quelli con popolazione inferiore, è stato il Centro studi Sogeea. I risultati emersi dall’indagine sono clamorosi.

Anche perché la lentezza dei travet pubblici ha un costo assai salato. «Si può stimare che i mancati introiti per le casse del nostro Paese siano pari a 21,7 miliardi di euro», ha spiegato nella sua analisi Sandro Simoncini, direttore scientifico del Centro Studi e presidente di Sogeea, «il dato si ottiene sommando quanto non incassato per oneri concessori, oblazioni, diritti di istruttoria e segreteria, sanzioni da danno ambientale. Stiamo parlando di denaro equivalente a circa 1,4 punti del Pil, pari a due terzi della legge di Stabilità 2015 o ancora in linea con il Pil di una nazione come l’Estonia».
Nel dettaglio si tratta di 10,3 miliardi di versamenti (cifra da ripartire a metà fra Stato e Comuni e a cui vanno aggiunti 160 milioni alle Regioni); 6,7 miliardi di oneri concessori; 1,5 miliardi di diritti di segreteria; 2,1 miliardi di diritti di istruttoria; 1,1 miliardi di risarcimenti per danno ambientale. La classifica dei comuni meno efficienti può essere fatta con due criteri: numero di domande inevase, soldi persi nei labirinti degli uffici catastali. In entrambi i casi, Roma è nettamente in testa. Sul fronte dei soldi si tratta di circa 800 milioni di mancate riscossioni (soldi presumibilmente recuperati attraverso aumenti della tassazione locale). Sul fronte del numero delle istanze ancora da evadere, invece, Roma ne ha 213.185 (su 599mila presentate), vale a dire quasi quattro volte Palermo (dove però le domande inevase sono 55.459 su 60.485). Sul gradino più basso del podio troviamo Napoli (45.763 su 85.495), che si attesta davanti a Bologna (42.184 su 62.393). Più staccate Milano (25.384 su 138.550) e Livorno (23.368 su 45.344). Fiumicino, con 20.055 domande ancora da lavorare, è l’unico Comune non capoluogo di provincia ad entrare nelle prime dieci posizioni.

Per avere un’idea sulla rapidità con cui le amministrazioni lavorano le pratiche può essere utile confrontare il dato di una rilevazione simile effettuata alla fine del 2011, quando le domande inevase nella capitale ammontavano a circa 240mila. Facendo due conti si capisce chiaramente che in poco più di 4 anni il comune di Roma ha smaltito soltanto 27mila pratiche, una ogni 18 giorni. Se questo è il ritmo (peraltro superiore ai circa 37 giorni a fascicolo del periodo precedente), per esaurire l’arretrato ci vorranno almeno altri 10 anni di duro lavoro.
I soldi bruciati a quel punto saranno ancora di più. Le domande di condono darebbero infatti luogo ad adeguamenti della rendita catastale, ovvero più entrate di Imu e Tasi. Così come salirebbero gli oneri concessori a causa delle domande per rientrare nel piano caso. Il lavoro di ingegneri, architetti e geometri, infine, alimenterebbe inevitabilmente gli imponibili dei professionisti, con conseguente incremento del gettito per l’Erario. Risorse che amministratori e Stato, evidentemente, non ne vogliono sapere di intascare.

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