Norme incomprensibili, vizi formali, definizioni incomplete, mancata tutela della privacy. No, non è la solita «campagna allarmistica di disinformazione» portata avanti da Libero, come ebbe a dire qualcuno nella maggioranza solo qualche giorno fa. Questa volta ad inchiodare il governo sulla maldestra operazione del canone in bolletta è il Consiglio di Stato, che mercoledì scorso, a pochi giorni dalla prima scadenza del 30 aprile per le autodichiarazioni di esenzione, ha deciso di «sospendere» il suo parere vincolante sul decreto attuativo.
Non si tratta di cavilli, limature o piccole modifiche. Nell’atto depositato il 13 aprile (estensore Claudio Boccia, presidente Franco Frattini) i giudici amministrativi demoliscono punto per punto il decreto predisposto dal ministero dello Sviluppo, fino ad indicare letteralmente le correzioni da apporre al testo.
Il primi rilievi sono di carattere formale. Intanto, il forte ritardo (un mese e mezzo) con cui il provvedimento è stato emenato. Nel decreto manca poi il concerto con il ministro dell’Economia, che dovrebbe «partecipare all’iniziativa politica, concorrendo ad assumerne la responsabilità». Al posto della firma di Pier Carlo Padoan, che a questo punto viene il dubbio si sia volutamente tenuto fuori, c’è una nota in cui il capo del legislativo di Via XX Settembre dà «l’assenso ai fini del prosieguo dell’iter». Una cosa, sottolineano i magistrati, «sostanzialmente diversa».
Entrando nel merito, il primo errore è da matita blu. Nel provvedimento per disciplinare il pagamento del canone Rai il governo si è infatti dimenticato di inserire «una definizione di cosa debba intendersi per apparecchio televisivo». Assente pure la precisazione che l’imposta si deve pagare una sola volta, a prescindere dal numero di tv. Altre criticità riguardano il diritto degli utenti ad essere tutelati e protetti. Il procedimento di addebito e riscossione del canone, scrivono i magistrati, «presuppone uno scambio di dati e d’informazioni fra gli enti coinvolti, che necessariamente implica profili di rispetto della privacy». Nelle norme stilate dal governo, «tuttavia, non si rinviene alcun riferimento alla problematica». Neppure con un generico riferimento al coinvolgimento del Garante. L’affondo più duro è quello sul nodo di cui da mesi si discute: la trasparenza e la semplicità. Secondo Palazzo Spada «non tutte le norme risultano formulate in maniera adeguatamente chiara». Un esempio è l’articolo 3 del decreto, che è proprio quello che definisce chi e come deve pagare il canone. Ebbene, nell’individuare «le categorie di utenti il regolamento utilizza formule tecniche di non facile comprensione per i non addetti al settore». L’aggravante è che il governo non ha neanche previsto «forme adeguate di pubblicità» per spiegare la norma. Dimenticanza particolarmente grave quando si tratta di far conoscere adempimenti che riguardano le modalità di esenzione o di rimborso del balzello.
Ed ora? Per prevedere che la trovata di Matteo Renzi, che ad ottobre aveva addirittura definito la norma «al riparo da impugnative», sarebbe finita nel caos non ci voleva un genio. Il governo ieri ha tentato di incassare il colpo. «Nessuna bocciatura», ha spiegato il sottosegretario Antonello Giacomelli, si tratta solo di «un utile suggerimento di integrazioni e chiarimenti peraltro assolutamente nella prassi». L’opposizione, però, la vede diversamente. Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia, parla di «incompetenza e approssimazione». Mentre per il vicepresidente della Camera, Simone Baldelli, si tratta di una bocciatura non solo sono «sonora», ma anche annunciata: «Avevamo già denunciato in Parlamento, prima attraverso le interrogazioni di Forza Italia e poi attraverso le mozioni presentate da noi e da altre forze politiche, il fatto che questa normativa avrebbe potuto trasformarsi in un enorme pasticcio ai danni di utenti e consumatori». Il polverone è tale che alla fine è stato costretto ad intervenire anche il presidente del Consiglio di Stato, Mario Torsello, precisando in serata che si è trattato di «un parere interlocutorio». Il che, però, nulla toglie alla gravità dei rilievi e al fatto che il decreto sia stato rispedito al mittente.
Per tentare di mettere una toppa pure l’Agenzia delle entrate si è affrettata a pubblicare sul sito una sezione di domande e risposte, con esempi concreti, spiegazioni, chiarimenti. Sentiero già seguito dalla Rai, con l’unico risultato di accrescere ancora di più la confusione degli utenti. La sostanza, spiega Emmanuela Bertucci, avvocato dell’Aduc, è che «si torna ai blocchi di partenza. Fino all’emanazione del decreto nessuno può far nulla, gli enti non possono scambiarsi i dati dei contribuenti e le società elettriche non possono addebitare il canone in bolletta». Il che, tra l’altro, comporterà non pochi problemi anche alla stessa Rai. La liquidità, già slittata da gennaio a luglio, ora rischia di ritardare ulteriormente. Con inevitabili conseguenze sul bilancio e sugli impieghi previsti delle somme.
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