giovedì 7 aprile 2016

Dal Pci all'ex pm: a Bagnoli 25 anni di nulla

«Oggi da Napoli inizia la grande battaglia contro il governo Renzi e contro le sue politiche di macelleria sociale». Così è stato accolto ieri il premier, sbarcato nel capoluogo partenopeo per partecipare alla riunione in Prefettura della cabina di regia per Bagnoli. Ora, di Matteo Renzi si può pensare tutto, ma è difficile addebitargli personalmente (perché il suo Pd invece ne ha eccome di responsabilità) tutto il disastro dell’ex area Italsider, dove la malagestione e l’immobilismo, ad essere buoni, durano da almeno 25 anni.

La crisi degli stabilimenti dell’Eternit e dell’Italsider, che davano lavoro a migliaia di operai, inizia nel 1969. Il primo chiude i battenti nel 1985. Nel 1989 è il turno dell’Italsider, che spegne il primo altoforno. Qualche anno più tardi, nel 1992, arriva la chiusura totale.
La prima fase di dismissione e bonifica dell’area parte nel 1994.  Scatta allora una lunga sequenza di clamorosi insuccessi. Nel 1996 (sotto la giunta Pds-Ds guidata da Antonio Bassolino) nasce la Società Bagnoli Spa, che dopo sei anni di lavori e 400 miliardi di vecchie lire riesce a portare a termini solo il 30,35% della bonifica dell’area. Arriva così il turno di Bagnoli Futura, grandioso progetto messo in cantiere dal Comune di Napoli nel 2001 (sotto la giunta Ds-Pd guidata da Rosa Russo Jervolino) con l’acquisizione di tutta l’area ex Italsider ed Ex Eternit, con l’esclusione dell’area ex Cementir, che resta del gruppo Caltagirone.

Dopo circa un decennio di progetti, di gare e di annunci il risultato non cambia: flop totale. Nel 2013 Bagnoli Futura, ormai in crisi, subisce il colpo definitivo. La Procura di Napoli ipotizza un disastro ambientale, indaga 21 dirigenti, sequestra i cantieri e tutte le aree. Il 29 maggio 2014, considerata l’impossibilità di pagare i debiti, il Tribunale di Napoli dichiara il fallimento della società e lo smistamento in altre partecipate locali dei 59 dipendenti.
E qui parte il braccio di ferro feroce tra Luigi De Magistris e il governo. Dopo un accordo nell’agosto del 2014 a Napoli, a settembre lo Sblocca Italia prevede la nomina di un commissario e lo stanziamento di 35 (che poi salgono a 50) milioni: in totale 360. Il sindaco ricorre al Tar. Renzi allora affianca al commissario una cabina di regia coordinata dal sottosegretario De Vincenti e partecipata anche dagli enti locali. Il Tar risponde picche. Ma De Magistris non si dà per vinto. Si appella al Consiglio di Stato e sobilla la protesta cittadina. Con i risultati che si sono visti ieri.

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