Alitalia dovrà stringere la cinghia. Noi pure. Mentre continuano ad accavallarsi le indiscrezioni e le smentite sui numeri del nuovo piano lacrime e sangue per rimettere in sesto la compagnia un elemento inizia ad emergere con discreta chiarezza: l’intervento dello Stato, e quindi dei contribuenti, non si limiterà alla fiche da 75 milioni messa sul piatto dalla controllata del Tesoro Poste Italiane. Ad annunciarlo, senza troppi fronzoli, è stato ieri il ministro dello Sviluppo, Flavio Zanonato. «In caso di esuberi nella partita Alitalia saranno messi in campo una serie di meccanismi e di ammortizzatori sociali», ha spiegato, aggiungendo che «non è mai capitato che una grande impresa chiuda un pezzo della sua attività senza che ci sia un aiuto anche da parte dello Stato in modo tale da non creare drammi sociali».
Insomma, la cassa integrazione con l’aiutino del governo è garantita. Resta da capire quante risorse serviranno. Da qualche giorno circola con insistenza la voce di un pacchetto di tagli che si aggira sulle 4.500-5.000 unità. Cifra che comprenderebbe i 2mila contratti a termine che non verrebbero rinnovati a cui si aggiungerebbero altri 2.000-2.500 esuberi veri e propri. Un taglio di 5mila posti di lavoro, ha però rivelato una fonte vicina ad Alitalia al quotidiano francese Le Monde «è troppo, non è credibile, significherebbe lasciare a terra 22 aerei». Opinione, quest’ultima, che sembra supportata dalle posizioni ufficiali della compagnia d’Oltralpe. «Air France-Klm», ha sottolineato ieri un portavoce della società francese, «non ha mai chiesto un taglio di 5mila posti di lavoro ad Alitalia» come condizione per partecipare all’aumento di capitale. Il nodo esuberi, però, resta sul tavolo. Da Parigi, infatti, si sono limitati a smentire la cifra, non l’operazione. Secondo Le Monde la trattativa in corso riguarderebbe almeno 3mila unità.
Richieste a cui i francesi aggiungono l’azzeramento dei vertici e la ristrutturazione del debito. Qualche giorno fa, in occasione del cda che ha azzerato il valore in bilancio delle quote di Alitalia, l’ad Alexandre de Juniac ha sottolineato che Air France «è un partner serio e leale» della compagnia italiana, ma anche spiegato che il sostegno francese arriverà solo «a condizioni molto strette di natura industriale, sociale e finanziaria». Se queste non si verificheranno, Parigi resterà fuori dall’aumento e lascerà che la sua quota si diluirà dal 25 al 10%.
Ieri l’ex ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, che da ex numero uno di Intesa conosce bene il dossier, ha detto di essere pronto «a scommettere un caffè» sul fatto che Air France resterà in Alitalia. In caso contrario, «troveremo un altro socio» perché la ricapitalizzazione è comunque garantita.
In vista della scadenza dell’operazione prevista per il 16 novembre l’ad Gabriele Del Torchio sta comunque lavorando a testa bassa al piano di ristrutturazione. Un pacchetto di sacrifici e di riassetto del business il cui conto, al di là delle richieste francesi, sarà comunque salato: si va dai tagli al personale, alla riduzione degli stipendi fino alla riorganizzazione delle rotte europee ed internazionali, su cui i francesi, a differenza dei vertici italiani, vorrebbero una riduzione del lungo raggio. L’idea di Del Torchio è quella di presentarsi davanti ai soci con una specie di progetto stand alone. Ipotesi chiaramente non percorribile, se non nel brevissimo periodo. Per questo, in attesa del verdetto di Air France, si continuano anche a sondare tutte le possibili alternative alla partnership con Parigi. Un’attività che ha portato gli emissari della compagnia a bussare anche alle porte più improbabili, dalla Russia, agli Emirati Arabi fino alla Cina.
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