venerdì 29 novembre 2013

Il governo inventa i cassintegrati di serie B

Vista la crisi, il governo non ha trovato di meglio che fare cassa sulla pelle delle Pmi. Penalizzando, inoltre, le aziende del Nord. È questo, sostanzialmente, il risultato dell'operazione messa in piedi congiuntamente dal ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, e da quello del Welfare, Enrico Giovannini, nel provvedimento dedicato alla ridefinizione degli ammortizzatori sociali.

Dal prossimo anno, secondo quanto si legge nella bozza del decreto al momento all'esame della Ragioneria, la cassa integrazione in deroga potrà essere concessa solo ai lavoratori (operai impiegati e quadri) con almeno 12 mesi di anzianità lavorativa per un periodo non superiore a 8 mesi nell'arco di un anno. Dal 1 gennaio 2015 e fino al 31 dicembre 2016 il sussidio potrà essere concesso fino a 6 mesi nell'arco di un anno e a 12 mesi nell'arco di un biennio mobile. Per le imprese che hanno già la cassa ordinaria e straordinaria la deroga potrà essere concessa per il 2014 con un tetto di 8 mesi ma per il 2015 e il 2016 per 5 mesi nell'arco di un anno e per 11 mesi nel biennio mobile.

Ancora più strette le maglie per la mobilità in deroga (che può essere chiesta a seguito di licenziamento). Per il 2014 - si legge nella bozza del decreto - la mobilità in deroga potrà essere concessa per un massimo di 7 mesi (10 al Sud) per chi ha beneficiato di meno di 3 anni del sussidio e per un massimo di 5 mesi (8 al Sud) per chi ha già usufruito del sussidio per tre anni o più. I tetti si abbassano nel 2015 e nel 2016 con un massimo di 6 mesi (8 al Sud) per chi ha avuto l'indennità per meno di 3 anni mentre nulla è previsto per chi ha già superato i 3 anni di sussidio. dal 2017 la mobilità in deroga non potrà più essere concessa.
L'iter del decreto è in corso, ha indicato il ministero del Lavoro, annunciando che «a breve» verranno convocate le parti sociali per un confronto, che «solo al termine di tale iter, il decreto verrà perfezionato, anche sulla base delle osservazioni» di sindacati, associazioni d'imprese, e Commissioni parlamentari.

Ma la direzione è già fin troppo chiara. Per la cassa il taglio è netto, considerato che nell'attuale regime la Cig in deroga veniva concessa di anno in anno, fino a un massimo di 12 mesi. Non meno dura la sforbiciata per la mobilità la cui durata viene ora definita sulla base degli accordi territoriali. «Gli effetti dei nuovi criteri per le autorizzazioni all'accesso di importanti prestazioni sociali come gli ammortizzatori in deroga», dice il segretario confederale Guglielmo Loy, «sembrano descrivere un Paese irreale. La riduzione delle prestazioni in maniera consistente dal prossimo anno e definitivamente dal 2017 si fonda su una previsione dell'andamento dell'economia che ad oggi non si vede. Stiamo parlando di un bacino che per il prossimo anno potrebbe vedere coinvolte oltre 500mila persone alle quali si dice, nella sostanza, che la prossima tappa sarà la disoccupazione. Il Parlamento, siamo certi modificherà questi criteri iniqui e sbagliati».

Sulla stessa lunghezza d'onda il segretario confederale della Cgil, Serena Sorrentino, secondo cui «non c'è alcun segnale che indichi una ripresa dell'occupazione nei prossimi mesi e appare incomprensibile la scelta di tagliare proprio ora tutti gli strumenti di contrasto alla crisi».
Infuriata pure la Lega Nord, che per bocca di Massimiliano Fedriga punta il dito sulla «sinistra che deve smetterla di fare discriminazioni tra i lavoratori del Nord e del Sud».
La mossa del governo mira, evidentemente, a recuperare risorse. Ma i conti rischiano di non tornare, con un impatto devastante sull'economia. La Cig in deroga è infatti partita nel 2009 per ogni tipo di piccola impresa che non versa contributi all'Inps per gli ammortizzatori. Da allora la deroga, con il crollo del Pil e la crisi che ha colpito con più violenza proprio le aziende più piccole, è diventata una delle poche reti di salvataggio per evitare di gettare in mezzo alla strada centinaia di migliaia di lavoratori.

I problemi ci sono già sul 2013. Il ministro Giovannini, ha dichiarato che sono state destinate complessivamente risorse pari a 2 miliardi e 205 milioni di euro più 287 milioni a carico del fondo di coesione per le Regioni obiettivo convergenza, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia». Ma all'appello, per coprire la spesa effettuata dalle Regioni per gli ammortizzatori sociali in deroga, mancano ancora 330 milioni. Se questo è il trend, difficile pensare che gli stanziamenti previsti per i prossimi anni possano bastare. Considerato che la ripresina ancora non si vede all'orizzonte e che, secondo tutte le principali associazioni di categoria, una ripartenza del pil non sarà accompagnata immediatamente da una risalita dell'occupazione. Per il 2014 sono stati messi in bilancio 1,6 miliardi, 700 milioni per il 2015 e 400 milioni per il 2016. L'idea del governo è che i fondi siano stati finora utilizzati a sproposito. Il decreto sui nuovi criteri sottolinea infatti la necessità che la concessione e la proroga dei trattamenti in deroga sia «nei limiti delle risorse finanziarie a tal fine destinate». In particolare si ricorda che gli ammortizzatori possono essere concessi sia per difficoltà temporanee del mercato che per crisi aziendali, ristrutturazione e riorganizzazione ma «in nessun caso» a fronte di «cessazione dell'attività produttiva dell'impresa o di parte della stessa».

Un principio, quello del rigore, condiviso dai sindacati. «C'è un ampio ventaglio di ipotesi per contrastare eventuali abusi, e su questo siamo interessati ad offrire la massima collaborazione», dice il segretario confederale della Cisl, Luigi Sbarra, «ma soluzioni volte solo ad abbreviare le durate dei sussidi colpiranno lavoratori e famiglie e scoraggeranno le imprese che potrebbero essere tentate di passare direttamente ai licenziamenti».
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