«Ridurre ai ricchi la tassazione sulla casa svendendo i tesori ambientali di tutti». L’Unità sintetizza così il bieco tentativo della «destra berlusconiana» di scardinare l’architettura della legge di stabilità. In realtà, più che l’assalto al Pdl, ieri sull’ipotesi della vendita delle spiagge è andato in scena un grottesco scontro interno al Pd.
La proposta infatti non solo è identica, come ha scritto Libero e ha ribadito ieri il senatore del Pdl Maurizio Gasparri, a quella presentata dal sottosegretario all’Economia del Pd, Pier Paolo Baretta, lo scorso settembre al tavolo convocato dal Tesoro con tutte le categorie e i partiti, ma è anche identica a quella contenuta in un emendamento firmato da nove senatori Democrat: Granaiola, Tomaselli, Albano, Caleo, Fabbri, Favero Marcucci, Padua e Vattuone.
Una svista? Per nulla. La prima firmataria, Manuela Granaiola, rivendica nel pomeriggio la validità del testo, ricordando proprio che l’emendamento «nasce da un’ipotesi prospettata da Baretta e dal direttore dell’Agenzia del demanio» al vertice ministeriale di cui sopra. Riunione a cui la senatrice del Pd era presente. Passano le ore, però, e la tensione cresce. Anche il ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, lancia l’anatema. E le righe si rompono. Il senatore Andrea Marcucci si rimangia la firma all’emendamento. Dopo un po’ arriva l’annuncio del capogruppo del Pd al Senato, Lugi Zanda Loi, in stile Politburo: «La Granaiola e gli altri hanno posto un problema reale, ma non vi era intenzione di cedere o svendere spiagge». L’emendamento è ritirato. Per chi non avesse capito, Epifani va in radio e ribadisce: «La vendita delle spiagge non è la posizione del Pd». Esultano i Verdi, che domani faranno un sit-in «salvaspiagge» al Pantheon di Roma. Baretta, invece, ancora tace.
Sulla no tax area, però, il sottosegretario fa sapere che «non è sostenibile». E mentre Fassina fa sapere che «la richiesta di una terapia choc è irricevibile», Enrico Letta, come spesso ha fatto nei giorni scorsi, dichiara da Parigi, dove è in corso un vertice sull’occupazione, che di Irpef se ne parla quando tornerà a Roma. Nell’attesa, il governo smentisce le indiscrezioni di un pacchetto nutrito di emendamenti (si è parlato di 90) in arrivo da Palazzo Chigi. «Notizie totalmente prive di fondamento», scrive in una nota il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanni Legnini, «il governo è impegnato innanzitutto a valutare gli emendamenti parlamentari. Successivamente, come è sempre avvenuto, valuterà se presentare pochi emendamenti sulla base della ricognizione, ancora in corso, delle problematiche più urgenti». Fonti di governo fanno poi sapere che dai ministeri arriveranno un centinaio di proposte di modifica che si tradurranno «in meno di 10 emendamenti».
Intanto la commissione Bilancio del Senato ha iniziato l’esame preliminare degli emendamenti. L’inizio delle votazione è previsto tra stasera e domani. Molte delle oltre 3mila proposte sul tavolo sono già finite sotto la tagliola dell’inammissibilità. Fino all’articolo 4 del provvedimento sono già saltati circa un centinaio di emendamenti. Tra questi, inutile dirlo, anche quello presentato dal Movimento 5 stelle per ridurre a 5mila euro mensili «tutto compreso» le indennità dei parlamentari. Curiosamente l’emendamento è stato bocciato «per mancanza di copertura». Via libera invece, per la gioia del Pd, all’emendamento presentato dal relatore Antonio D’Ali sulla vendita di aree demaniali marittime.
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