Impatto drammatico sui conti pubblici, perdite catastrofiche per i risparmiatori, stangata sui mutui. Ieri, leggendo i giornali, sembrava che la profezia Maya si fosse avverata con 10 giorni di anticipo. A colpi di spread. Come se in questi ultimi mesi non avessimo visto oscillazioni del differenziale Btp-Bund di oltre duecento punti e cadute verticali della Borsa di oltre 3 punti percentuali.
Ebbene, ieri Piazza Affari dopo aver chiuso la giornata di lunedì con un calo del 2,2%, preludio dell’apocalisse, ha tranquillamente guidato il rialzo dei listini europei, terminando la seduta con un rotondo +1,5%. Tecnicamente è stato un rimbalzo, così come lunedì, sfruttando le fibrillazioni politiche, molti investitori hanno deciso di vendere i titoli e di effettuare normalissimi «realizzi» dopo circa quattro mesi di sedute terminate con il segno più. In maniera più o meno simile si sono mossi molti fondi che, in vista dell’inevitabile scossone sullo spread provocato dalle dimissioni di Monti, si sono precipitati a vendere Btp (accelerando così la diminuzione del valore dei titoli e il rialzo dei rendimenti) per poi riacquistare a prezzi più bassi.
Di qui il differenziale a 351 di lunedì. Livello che ieri si è ampiamente stabilizzato con lo spread sotto 340 punti, solo 18 punti sopra la chiusura di venerdì. C’è anche chi si è messo a fare calcoli forsennati per dimostrare, algoritmi alla mano, che alla fine quel differenziale si sarebbe abbattuto pure sui mutui. Eppure ieri l’euribor, a cui sono indicizzati i prestiti variabili, ha continuato a viaggiare sullo 0,190%, ai minimi storici di sempre.
Che non ci fosse nulla da temere lo ha spiegato ieri Maria Cannata, capo del Dipartimento debito pubblico del Tesoro. Altro che cataclismi. «Avevamo messo in conto la volatilità dei mercati che di solito accompagna una campagna elettorale, simo rimasti un po’ sorpresi dagli eventi, ma solo perché il timing è stato anticipato», ha spiegato, invitando in ogni caso «a non drammatizzare troppo il rimbalzo dei rendimenti». Del resto, nessuno a Via XX Settembre si è sognato di modificare il calendario delle aste, che prevede già per oggi la vendita di 6,5 miliardi di Bot annuali. Mentre domani sarà il turno dei Btp triennali, per un importo tra i 2,5 e i 3,5 miliardi. Si tratta degli ultimi appuntamenti del 2012. Poi si parte con il 2013, che però, almeno nelle previsioni del Tesoro, dovrebbe essere un’annata più leggera, con 410 miliardi di raccolta necessaria rispetto ai 470 del 2012.
Questo non significa che sarà una passeggiata. Anche perché tra gennaio e febbraio, quando l’atmosfera sarà resa rovente dalla campagna elettorale, scadranno titoli per 123 miliardi che dovranno essere rifinanziati con emissioni a medio e lungo termine di almeno un centinaio di miliardi. Una grana che dovrà poi sbrogliare il prossimo inquilino di Palazzo Chigi.
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