venerdì 14 dicembre 2012

I fondi per le ricongiunzioni li tolgono a imprese e lavoro

Le ricongiunzioni restano onerose, ma per le imprese. Alla fine, salvo sorprese dell’ultim’ora che potrebbero arrivare  dal Senato, dove stanno fioccando gli emendamenti, è questa la soluzione escogitata da Elsa Fornero per mettere una toppa agli effetti abnormi provocati dalle modifiche introdotte dall’ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi nel 2010 in materia previdenziale.



Dopo alcune settimane passate, sembra invano, a cercare insieme ai tecnici dell’Inps di definire con esattezza i contorni del problema e la platea di lavoratori direttamente e potenzialmente coinvolti, il ministro del Welfare ha deciso di limitare i danni reintroducendo la possibilità di cumulo gratuito dei periodi contributivi senza perdere i diritti acquisiti (ovvero il calcolo retributivo) solo ai fini della pensione di vecchiaia. E scaricando i costi non sulla fiscalità generale o sui trattamenti previdenziali più alti, come era stato proposto dalla commissione Lavoro della Camera, ma sul fondo per la decontribuzione dei salari derivanti dalla contrattazione di secondo livello. Azzoppando così le agevolazioni per incentivare la produttività delle imprese.

Ma andiamo con ordine. L’emendamento alla legge di stabilità in discussione al Senato concordato con il governo e presentato dai due relatori Paolo Tancredi (Pdl) e Giovanni Legnini (Pd), prevede  che i lavoratori iscritti a due o più forme pensionistiche possano «cumulare i periodi assicurativi non coincidenti al fine del conseguimento di un’unica pensione, qualora non siano in possesso dei requisiti per il diritto al trattamento pensionistico». La facoltà «può essere esercitata esclusivamente per la liquidazione del trattamento pensionistico di vecchiaia con i requisiti anagrafici» introdotti dalla riforma Fornero. Quanto al calcolo, gli enti interessati, «ciascuno per la parte di propria competenza, determinano trattamento pro quota in rapporto ai rispettivi periodi di iscrizione maturati sulla base delle rispettive retribuzioni di riferimento». In altre parole, chi è passato dall’Inpdap all’Inps e vuole ottenere una pensione calcolata col metodo retributivo (con il contributivo, che dimezza l’assegna previdenziale, il cumulo è già gratuito attraverso la totalizzazione) dovrà restare al lavoro fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia, anche se unendo gli anni di contribuzione avrebbe i requisiti di legge per accedere al trattamento di anzianità. Non solo, la norma stabilisce che il richiedente non deve avere già diritto a trattamenti pensionistici. Non è specificato, però, e la cosa non è ininfluente, se di vecchiaia o di anzianità.

Malgrado la norma così com’è scritta lasci fuori una bella fetta di quei 610mila lavoratori che di qui al 2020 saranno interessati alla ricongiunzione, l’esborso non è comunque indifferente. Si tratta della bellezza di 899 milioni spalmati sui prossimi dieci anni. E dove ha pensato la Fornero di andarli a prendere? Le risorse necessarie saranno prelevate dal Fondo di 650 milioni l’anno per lo sgravio dei contributi dovuti da lavoratori e imprese sul salario di produttività. Un fondo che, paradossalmente, è stato lo stesso ministro, la scorsa estate, a rendere strutturale chiudendo la fase di sperimentazione.
La norma, comunque, potrebbe ancora cambiare. In commissione Bilancio sono infatti stati presentati diversi subemendamenti. Nel mirino, guardacaso, proprio i paletti per i richiedenti e la copertura. Su quest’ultima è intervenuta la senatrice del Pdl, Ada Spadoni Urbani, proponendo che le risorse vengano trovate nella Contabilità speciale relativa all’Agenzia delle Entrate. Due emendamenti del Pd, che hanno come prima firmataria la senatrice Rita Ghedini, chiedono invece, di eliminare il divieto di cumulo per chi è già «in possesso dei requisiti per il diritto al trattamento pensionistico» e di allargare i ricongiungimenti anche ai «trattamenti pensionistici di anzianità».

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