domenica 16 settembre 2012

Occhio ai nuovi estimi catastali. Pagheremo fino al 400% in più

L’obiettivo, inutile dirlo, è ridurre l’iniquità. Il risultato, invece, rischia di essere la stangata più pesante degli ultimi decenni. Con aumenti del carico fiscale che potrebbero addirittura raggiungere il 400%. La speranza, come ha detto qualche giorno fa l’Agenzia del Territorio, è che la prospettiva della riforma del catasto sia pluriennale. «Si tratta di un processo articolato», ha detto il direttore Gabriella Alemanno, «che prevede, tra l’altro, la definizione preventiva di complesse funzioni statistiche e una successiva fase di rilevazione puntuale delle informazioni sul territorio, in collaborazione con i Comuni e con gli Ordini professionali, per l’elaborazione e l’attribuzione delle nuove rendite». La sensazione, però, è che il governo voglia affrettare i tempi. «È necessario cominciare prima possibile», ha detto Vittorio Grilli, giudicando possibile un taglio del nastro nel giro di due-tre anni. Il che significa che la questione potrebbe diventare uno dei cavalli di battaglia di un Monti-bis o di un qualsiasi esecutivo di ispirazione montiana.

L’idea di base è che le attuali rendite catastali, sulla base delle quali, attraverso una serie di coefficienti, si calcola il valore catastale degli immobili ai fini fiscali, siano totalmente disallineate rispetto ai valori di mercato. In effetti, la definizione delle rendite risale al 1992 e da allora ha subito solo una rivalutazione del 5%. Questo ha comportato nel corso degli anni uno scostamento progressivo che l’Agenzia del Territorio monitora e calcola ogni sei mesi attraverso l’Omi (l’Osservatorio del mercato immobiliare). Ebbene, stando alle ultime rilevazioni, ha spiegato la Alemanno, «per le abitazioni il valore corrente di mercato è pari, in media, a 3,73 volte la base imponibile a fini Imu» mentre i canoni degli affitti «sono mediamente superiori di 6,46 volte le rendite catastali». In realtà, la situazione varia molto da zona a zona. Il valore di mercato della casa tipo in Italia è del 267% più alto di quello catastale. La percentuale a Milano è del 172%, mentre a Roma e del 252%. A Palermo, a Napoli e a Venezia, però, si arriva rispettivamente al 408, al 399 e al 392%. L’asticella si alza molto anche a Firenze, dove lo scarto è del 337%. Vedendo queste cifre è facile capire che l’operazione potrebbe trasformarsi in un massacro. A prima vista, l’allineamento al mercato appare condivisibile per quegli immobili popolari situati nei centri storici dove la rivalutazione ha raggiunto livelli siderali, mentre le rendite sono rimaste le stesse di 30 anni fa. Eppure, anche qui i conti non tornano. Un discorso, infatti, anche se ci sarebbe da discutere, è far pagare valanghe di tasse a chi può disporre di qualche milione di euro per acquistare un attico nel centro storico di Roma o di Firenze, un altro, però, è il caso di chi vive nella stessa casa dove viveva prima sua madre e ancora prima sua nonna e si ritrova di colpo a dover sopportare un carico tributario magari più alto della sua pensione.

Il governo ha assicurato che il conto finale sarà zero. Ovvero che all’aumento dei valori catastali corrisponderà una adeguata diminuzione delle aliquote per mantenere una sorta di invarianza degli oneri fiscali. Intento lodevole, ma palesemente irrealizzabile. Si tratterebbe, infatti, di introdurre una giungla di aliquote diversificate da zona a zona anche all’interno delle stesse aree urbane. Il che fa pensare che, molto probabilmente, prima arriverà la riforma del catasto. Poi, con calma, si penserà anche alla compensazione fiscale. La linea tracciata dalla legge delega varata alcuni mesi fa dal governo è quella di distinguere il “valore patrimoniale” dell’immobile dalla sua “rendita catastale”. Il primo sarà determinato partendo dai valori di mercato stabiliti dall’Omi e applicando correttivi di tipo statistico, in sostanza un algoritmo, che tengano conto della situazione dell’immobile. La seconda (abbandonando gli attuali estimi catastali e il numero dei vani) sarà invece calcolata partendo dai valori locativi annui espressi al metro quadrato (sempre elaborati dall’Agenzia del Territorio) e applicando una riduzione corrispondente alle spese di gestione dell’immobile. A questo punto il valore verrà moltiplicato per la superficie. Non è ancora chiaro quale sarà il valore utilizzato poi per pagare l’Irpef, l’Imu o le varie imposte che gravano sulle compravendite. Se la base di partenza dovesse restare la rendita, considerando la rivalutazione che sta studiando il governo, basata sul valore di mercato degli affitti, le proiezioni effettuate su specifiche tipologie abitative in zona semicentrale parlano di incrementi monstre dell’imponibile fino al 900%.

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