L’Italia, ha detto Mario Monti un paio di giorni fa in preda all’effetto Draghi, «è già ripartita». Forse, e c’è da sperarlo, il premier conosce dati più aggiornati a noi ignoti. Guardando le statistiche ufficiali compilate dall’Istat, però, c’è poco da stare allegri. L'industria, infatti, continua pesantemente a perdere terreno. A luglio la produzione ha messo a segno l’ennesima discesa, segnando un ribasso del 7,3% rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Una diminuzione robusta che va ad aggiungersi alle precedenti, portando a quota undici la serie di flessioni consecutive.
Abbandonando la prospettiva annuale e guardando all’ultimo mese, rispetto a giugno, lo scenario non migliora molto. Anche in questo caso l’Istat ha registrato un altro segno meno (-0,2%). Checché ne dica il presidente del Consiglio, il motore dell’economia italiana sembra lontano dalla ripresa. I dati di luglio, con cui inizia il terzo trimestre, pesano e oltretutto arrivano dopo un giugno nero. Ad arretrare sono tutti i settori, tranne l'energia, che si è mantenuta positiva a causa dell’alta richiesta dovuta al caldo. Per il resto l’Istituto di statistica registra tutti segni meno, anche per i beni di consumo. Nel dettaglio, su base annua fanno male anche i cavalli di battaglia del Made in Italy, dal tessile (-7,5%) alle macchine utensili (-7,2%). Crollano anche la metallurgia (-9,3%) e il legno (-9,7%), gli autoveicoli (-9,9%). Non si salva neppure l’alimentare (-1,5%).
Riduzioni significative arrivano pure per l’area che riguarda i prodotti tecnologici, ribassi che preoccupano Anie Confindustria, la federazione che rappresenta le imprese del campo. Il presidente Claudio Andrea Gemme non è ottimista. Anzi. «Questo dato», spiega, «fotografa l’aggravarsi del quadro macroeconomico, caratterizzato da una crescente instabilità e complessità». Il che significa, proseguue, che «si allontana l’uscita dal tunnel recessivo, non emergendo dopo i mesi estivi indicazioni per una svolta ciclica in chiusura d’anno». Tuttavia, avverte, «pur in un contesto sempre più difficile», le imprese fornitrici di tecnologie non si arrendono, continuando «a resistere alla crisi e a gettare le basi della ripresa. Nuove tecnologie e nuovi mercati restano importanti elementi di sostegno alla tenuta settoriale». Sulla ritirata dell’industria che prosegue ininterrotta ormai da un anno, pesa sicuramente il calo della domanda interna, ovvero dei consumi. Secondo i calcoli di Federconsumatori e Adusbef «il potere di acquisto delle famiglie, dal 2008 sceso di oltre l’11,8%, è il fattore determinante sul quale intervenire per invertire questa pericolosa tendenza». Mentre il Codacons mette in evidenza il calo delle industrie alimentari, che rappresenta «la cartina di tornasole della crisi in cui versa il ceto medio, che dal 2007 ha progressivamente diminuito i consumi alimentari in termini quantitativi». In allarme pure i sindacati, con la Cisl che parla di «fase terribile» dell'industria.
Nessuna nota positiva arriva anche dal rapporto presentato ieri da Confesercenti in collaborazione con il Ref. Nel 2012, ha detto il presidente dell’associazione, Marco Venturi, «i consumi italiani crolleranno del 2,3% e non andrà meglio l’anno prossimo quando subiranno una contrazione dello 0,9%».
Quanto all’andamento generale dell’economia, il quadro resta fosco. «L’Italia è in grado di uscire dal tunnel, ma è un percorso ad ostacoli», è la sintesi del rapporto, che mette in fila una serie di dati catastrofici. «Nel nostro paese», si legge, «la recessione è iniziata oramai da ben cinque anni; il livello del Pil a metà 2012 è inferiore del 7 per cento rispetto a quello del 2007; abbiamo circa un milione di disoccupati in più. Il 2012 rimane l’anno peggiore dell’ultimo triennio, con una flessione di -2,3% del Pil, pari al calo dei consumi finali nazionali, e un tasso di disoccupazione del 10,2%».
E per il prossimo anno niente schiarite. «Il 2013», spiegano gli esperti di Confesercenti-Ref, «vedrà un rallentamento della crisi, ma il pil sarà ancora negativo (-0,4%), così come la spesa delle famiglie (-0,4%), mentre il tasso di disoccupazione arriverà a quota 11,1%. Ancora deboli gli investimenti (-1,6%)». L’unico dato positivo riguarda le esportazioni, «l’unica componente che in questa fase ha tenuto, mentre tutte le voci della domanda interna cedevano vistosamente». Ma solo con l’export, è evidente, non si andrà da nessuna parte.
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