domenica 9 settembre 2012

Terrore fiscale. Le lettere minatorie delle Entrate

La saga delle lettere pazze continua ancora. Sarà stata colpa dei ritardi delle poste o forse di quelli della società di riscossione, sta di fatto che al ritorno dalle vacanze molti contribuenti hanno trovato nella buca della posta una bella missiva targata Agenzia delle entrate. Si tratta della valanga di “avvertimenti” che lo scorso maggio il fisco ha deciso di inviare a circa 300mila cittadini italiani.

Le lettere informano il contribuente che il reddito dichiarato nel 2010 (con la dichiarazione del 2011) non risulta “congruo” con spese rilevate dall'Anagrafe tributaria e considerate dall'Agenzia delle entrate indici di capacità contributiva. Per evitare inutili allarmismi diciamo subito che, tranne i casi in cui viene espressamente richiesto di presentarsi negli uffici competenti entro un termine di tempo fissato, si tratta di un'operazione di controllo preventiva. In altre parole, non c'è alcun obbligo di rispondere o di intraprendere una qualsiasi azione difensiva. «Le lettere, come sottolineato anche dai vertici dell'Agenzia delle entrate», spiega Enrico Zanetti, direttore del centro studi tributari Eutekne.info, «costituiscono dei meri inviti a valutare la congruità del proprio livello reddituale rispetto ad una serie di spese che risulterebbero dalle banche dati dell'amministrazione finanziaria. Una valutazione finalizzata ad una eventuale scelta di ravvedersi in relazione alla dichiarazione presentata l'anno scorso e di dichiarare con maggiore puntualità il proprio reddito per la tornata dichiarativa ormai prossima».

Le missive del fisco, insomma, sono innocue. Il problema, come ammette lo stesso Zanetti, è che «la premurosa cortesia si confonde con la velata minaccia». Se è vero, infatti, che l'avvertimento non comporta obblighi immediati, resta il fatto che il contribuente si vede arrivare a casa una lettera firmata dal direttore dell'Agenzia Attilio Befera in cui il fisco lo accusa di aver fatto una serie di acquisti (messi in bella evidenza nella missiva) che non poteva permettersi. In particolare, si spiega al “potenziale evasore” che «potrà essere chiesto di dimostrare che la quota di spese eccedente, per almeno un quinto (20%), il reddito complessivo dichiarato sia stata finanziata con redditi diversi da quelli posseduti nel 2010, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile». Poi, si ricorda che «nel caso in cui non fosse in grado di dimostrare la compatibilità delle spese sostenute con il reddito dichiarato, l'Agenzia delle Entrate potrà procedere all'accertamento sintetico del reddito complessivo». Giustificato o meno, l'attacco di panico è garantito. Soprattutto se uno si vede accollare spese non effettuate. È il caso clamoroso di un lavoratore subordinato con aliquota marginale Irpef al 38%, e quindi con ritenuta delle tasse alla fonte. Gli vengono attribuiti, nel 2010, l'acquisto di un'abitazione e di un'automobile, oltre all'accensione di un mutuo. Peccato che nessuna delle tre operazioni, ed è difficile che possano essergli passate di mente, sia stata effettivamente messa in atto. Al danno, infine, non poteva mancare la beffa. L'Agenzia invita infatti a «considerare con attenzione» la comunicazione e «le opportunità di ravvedimento offerte dalla normativa fiscale». Peccato che molte lettere, anche quelle che portano la data di fine maggio, siano arrivate ad agosto, quando i termini previsti per il ravvedimento operoso sono già ampiamente scaduti.

© Libero