La saga delle lettere pazze continua ancora. Sarà stata colpa dei
ritardi delle poste o forse di quelli della società di riscossione, sta
di fatto che al ritorno dalle vacanze molti contribuenti hanno trovato
nella buca della posta una bella missiva targata Agenzia delle entrate.
Si tratta della valanga di “avvertimenti” che lo scorso maggio il fisco
ha deciso di inviare a circa 300mila cittadini italiani.
Le lettere
informano il contribuente che il reddito dichiarato nel 2010 (con la
dichiarazione del 2011) non risulta “congruo” con spese rilevate
dall'Anagrafe tributaria e considerate dall'Agenzia delle entrate indici
di capacità contributiva. Per evitare inutili allarmismi diciamo subito
che, tranne i casi in cui viene espressamente richiesto di presentarsi
negli uffici competenti entro un termine di tempo fissato, si tratta di
un'operazione di controllo preventiva. In altre parole, non c'è alcun
obbligo di rispondere o di intraprendere una qualsiasi azione difensiva.
«Le lettere, come sottolineato anche dai vertici dell'Agenzia delle
entrate», spiega Enrico Zanetti, direttore del centro studi tributari
Eutekne.info, «costituiscono dei meri inviti a valutare la congruità del
proprio livello reddituale rispetto ad una serie di spese che
risulterebbero dalle banche dati dell'amministrazione finanziaria. Una
valutazione finalizzata ad una eventuale scelta di ravvedersi in
relazione alla dichiarazione presentata l'anno scorso e di dichiarare
con maggiore puntualità il proprio reddito per la tornata dichiarativa
ormai prossima».
Le missive del fisco, insomma, sono innocue. Il
problema, come ammette lo stesso Zanetti, è che «la premurosa cortesia
si confonde con la velata minaccia». Se è vero, infatti, che
l'avvertimento non comporta obblighi immediati, resta il fatto che il
contribuente si vede arrivare a casa una lettera firmata dal direttore
dell'Agenzia Attilio Befera in cui il fisco lo accusa di aver fatto una
serie di acquisti (messi in bella evidenza nella missiva) che non poteva
permettersi. In particolare, si spiega al “potenziale evasore” che
«potrà essere chiesto di dimostrare che la quota di spese eccedente, per
almeno un quinto (20%), il reddito complessivo dichiarato sia stata
finanziata con redditi diversi da quelli posseduti nel 2010, o con
redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o,
comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile».
Poi, si ricorda che «nel caso in cui non fosse in grado di dimostrare la
compatibilità delle spese sostenute con il reddito dichiarato,
l'Agenzia delle Entrate potrà procedere all'accertamento sintetico del
reddito complessivo». Giustificato o meno, l'attacco di panico è
garantito. Soprattutto se uno si vede accollare spese non effettuate. È
il caso clamoroso di un lavoratore subordinato con aliquota marginale
Irpef al 38%, e quindi con ritenuta delle tasse alla fonte. Gli vengono
attribuiti, nel 2010, l'acquisto di un'abitazione e di un'automobile,
oltre all'accensione di un mutuo. Peccato che nessuna delle tre
operazioni, ed è difficile che possano essergli passate di mente, sia
stata effettivamente messa in atto. Al danno, infine, non poteva mancare
la beffa. L'Agenzia invita infatti a «considerare con attenzione» la
comunicazione e «le opportunità di ravvedimento offerte dalla normativa
fiscale». Peccato che molte lettere, anche quelle che portano la data di
fine maggio, siano arrivate ad agosto, quando i termini previsti per il
ravvedimento operoso sono già ampiamente scaduti.
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