giovedì 21 luglio 2011

Per gli onorevoli niente tassa sulle pensioni d’oro. Ma Tremonti promette: presto la introdurremo


Mettere i numeri a confronto produce sempre effetti sorprendenti. Prendiamo le pensioni. Nella manovra appena licenziata dalle Camere è previsto un contributo di solidarietà fino al 2014 per le cosiddette “pensioni d’oro”, cioé superiori ai 90mila euro annui. Il contributo è del 5% per la parte eccedente i 90mila euro, e del 10% sopra i 150mila euro. Dalla misure deriveranno maggiori entrate al lordo del fisco per 18 milioni nel 2011, 44 milioni nel 2012, 44 milioni nel 2013 e altri 44 milioni nel 2014. I risparmi complessivi sono pari a 150 milioni nel quadriennio.


Passiamo ora ad altri numeri di cui si è parlato molto negli ultimi mesi. La materia è la stessa, quella previdenziale, ma i pensionati sono illustri: ex deputati ed ex senatori. Nel 2008 la Camera ha speso 138 milioni e 200mila euro per gli «assegni vitalizi», mentre il Senato ha sborsato circa 81 milioni e 200mila euro. A fronte di queste uscite, le entrate, attraverso le trattenute sugli stipendi o le contribuzioni volontarie, ammontano a 11 milioni e 835 mila per i deputati e a 6 milioni e 100 mila per palazzo Madama.
Il calcolo non è difficile. Lo sbilancio del sistema previdenziale del Parlamento, pagato ovviamente con i soldi dei contribuenti, è di 126 e 75 milioni. Una differenza dovuta al fatto che le pensioni di Camera e Senato non si calcolano, come ormai accade per il resto degli italiani, con il metodo contributivo, né con un misto di retributivo e contributivo. Per loro vengono utilizzati coefficienti in base ai quali per cinque anni di mandato si ha diritto al 25% dell’indennità lorda (che è di oltre 12mila euro), per 10 al 38%, per 20 al 68%, fino ad arrivare all’80% per i 30 anni ed oltre. Con una clausola aggiuntiva grazie alla quale il vitalizio si rivaluta automaticamente essendo legato all’importo degli stipendi dei parlamentari ancora in servizio.  In tutto, per garantire i robusti assegni mensili agli ex onorevoli o alle loro mogli, lo Stato deve compensare i contributi mancanti con oltre 200 milioni, cifra ben superiore a quei 150 milioni di risparmi previsti con il contributo di solidarietà.

E qui viene il bello. Se tanto ci dà tanto le due cifre dovrebbero in qualche modo essere collegate. Tenendo conto degli importi assai elevati è facile immaginare che una buona fetta di ex parlamentari finisca sotto la scure del contributo di solidarietà previsto dalla manovra. Se non sono pensioni d’oro quelle, del resto, nessuna lo è.
Manco per il piffero. Come ha giustamente fatto notare ieri il direttore di NewsMediaset, Mario Giordano (che sulle pensioni d’oro ha scritto un libro, Sanguisughe, e aperto un blog dedicato), Camera e Senato godono di autonomia amministrativa in quanto organi costituzionali e nessuno, con legge ordinaria, gli può togliere neppure un centesimo.
Il caso è così clamorosamente grottesco che ha costretto lo stesso Giulio Tremonti ad intervenire. In una lettera inviata ieri ai capigruppo di maggioranza di Camera e Senato il ministro dell’Economia, ha spiegato che «la disciplina sul contributo di perequazione potrebbe essere ritenuta immediatamente applicabile ai vitalizi dei parlamentari». Secondo il ministro, insomma, ci sarebbe lo spazio interpretativo (sulla base di una sentenza della Corte costituzionale) per muoversi anche in mancanza di una modifica dei regolamenti delle Camere. A stretto giro ha fatto sentire ufficiosamente la sua voce anche il presidente del Senato, Renato Schifani, il quale ha tranquillizzato Tremonti assicurando che Palazzo Madama, così come in passato si adeguerà alle norme previste dalla manovra.


© Libero