Un passo indietro, a saldi invariati. Giuliano Cazzola, che di pensioni se ne intende, è convinto che l’operazione di ritocco sui tagli alle rivalutazioni dei trattamenti previdenziali previsto nella manovra sia possibile. Anche perché, spiega il senatore del PdL con un passato nel sindacato “rosso”, «l’errore è stato fatto e prima lo correggiamo, meglio è».
Negli ultimi giorni si è sollevato un polverone sulle misure previdenziali contenute nella manovra. Molto rumore per nulla o, come lei ha dichiarato, sono necessarie modifiche per tutelare le fasce più deboli?
«Il rumore è stato eccessivo, ma noi dobbiamo essere onesti. Era giusto chiedere un contributo anche ai pensionati, come hanno fatto tutti i governi prima del nostro. Ma noi abbiamo sbagliato le misure, dimezzando per due anni l’aliquota di perequazione automatica nella fascia di retribuzione compresa tra 1.450 e 2.380 euro lordi mensili. Sono d’accordo con il ministro Sacconi che ha dichiarato una disponibilità al confronto e alla rimodulazione della misura. Mi risulta che l’Inps abbia allo studio delle ipotesi alternative che intervengano su livelli più elevati di pensione, fermo restando il risparmio previsto».
È vero o no che così com’è modulata la manovra colpisce le pensioni troppo basse?
«Guardi a me il sentimento di antipolitica che esiste nel paese non piace. Faccio notare però il successo che ha avuto un recente libro (Sanguisughe, di Mario Giordano, ndr) che denuncia, con toni a mio avviso demagogici, le cosiddette pensioni d’oro. Le sembra possibile, in tale contesto, andare a chiedere, magari anche soltanto qualche decina di euro, a chi percepisce un trattamento di poco superiore a mille euro al netto?».
Ma è sicuro che andando a mettere le mani sul testo messo a punto da Giulio Tremonti non si rischi di far sballare i saldi complessivi della correzione di bilancio?
«Si possono trovare tante soluzioni alternative. Le faccio una ipotesi: manteniamo la perequazione vigente fino a 2.380 euro mensili (ovvero il 100% fino a 1.450 euro e il 90% per la quota superiore fino a 2.380 euro). Poi si può dimezzare la copertura nella fascia compresa tra cinque e otto volte il minimo e non applicarla in toto per gli importi superiori a dieci volte il minimo (circa cinquemila euro mensili). Ovviamente solo per un biennio».
E se il governo decidesse di insistere sulla linea già tracciata quali sarebbero le conseguenze? Non crede che ci potranno essere ripercussioni anche sul rapporto di collaborazione che in questi ultimi anni c’è stato tra Palazzo Chigi e i sindacati moderati?
«Guardi quella norma è un errore. Ed una modifica ce la chiedono anche i sindacati dell’area riformista che hanno sempre avuto un comportamento responsabile e non strumentale nei confronti del governo. Prima ce ne facciamo carico meglio è. C’e un’altra norma assai discutibile, la cosiddetta norma anti badanti, che intende scoraggiare i matrimoni tra gli anziani ultrasettantenni e le loro badanti straniere. Non si sono resi conto che lo stesso principio vale anche per i cittadini italiani. Ma l’hanno avvertito il premier? Paradossalmente se Silvio Berlusconi, una volta divorziato, decidesse di convolare a giuste nozze con una signora cinquantenne o più giovane e il matrimonio non durasse più di dieci anni prima della sua ascesa al regno dei cieli, la pensione di reversibilità della vedova sarebbe tagliata del dieci per cento per ogni anno in meno dei dieci».
Non le sembra invece troppo morbido e graduale l’adeguamento dell’età pensionabile delle donne?
«Si, la questione è matura nel paese più di quanto lo sia nella classe politica».
Crede che, come hanno detto anche Schifani e Sacconi, ci siano i margini per le modifiche in sede di dibattito parlamentare?
«Basta ascoltare le loro dichiarazioni. Il Senato lavorerà sicuramente con equilibrio».
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