giovedì 4 marzo 2010

L’arbitro delle liti in azienda per licenziare l’articolo 18

Inutile stare a spiegare che la norma era già prevista dal ddl Biagi, che il testo prevede mille garanzie per i lavoratori. Inutile precisare che non ci sarà alcuna obbligatorietà. Le elezioni sono troppo vicine e l’occasione per riaprire lo scontro sull’articolo 18 troppo ghiotta per poter essere lasciata sfuggire. Così, arrivati alla quarta lettura, Cgil e opposizione si sono improvvisamente accorti che nel ddl lavoro approvato ieri sera in via definitiva dal Senato (151 voti a favore, 83 contrari e 5 astenuti) ci sono passaggi che, dicono, rappresenterebbero un vero e proprio attacco del governo allo Statuto dei lavoratori. «In due anni di iter parlamentare nessuno ha mai gridato allo scandalo», ha sottolineato il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, «oggi, in vista delle elezioni, si grida alla lesa maestà». Al centro delle polemiche c’è la norma contenuta nell’articolo 31 della legge, che prevede la possibilità di affidare ad un arbitro, invece che ad un giudice, la risoluzione delle controversie fra lavoratori e imprese.


Possibilità che secondo alcuni garantirà il rispetto reale dei diritti previsti dallo statuto, ma che, secondo altri, aggirerebbe il dettato dell’articolo 18, che stabilisce il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa. In realtà, ha spiegato il ministro Sacconi, la legge prevede semplicemente che «in caso di controversia con il datore di lavoro, non solo per i licenziamenti, il lavoratore avrà davanti a sé due strade: il giudice ordinario oppure l’arbitrato». Non solo. L’arbitrato potrà essere applicato solo se il contratto collettivo nazionale di lavoro lo prevedrà. E non potrà essere applicato in caso di licenziamenti discriminatori. Quanto al rischio di imporre la strada dell’arbitrato per i contratti dei nuovi assunti, Sacconi ha chiarito che «servirà un certificatore che attesti la reale volontà delle parti».

Il provvedimento, sintetizza il relatore del ddl alla Camera, Giuliano Cazzola, non fa altro che «dare sviluppo alle procedure di composizione stragiudiziale delle controversie di lavoro, rafforzando il diritto vivente, promuovendo l’iniziativa contrattuale delle parti sociali e rendendo i lavoratori responsabili e consapevoli delle proprie scelte».

Tutt’altra la versione della Cgil. «Siamo di fronte», ha tuonato il segretario Guglielmo Epifani, «ad una vera e propria controriforma delle basi del diritto del lavoro italiano, portando sostanzialmente ad un forma di arbitrato obbligatorio che farebbe saltare le forme tradizionali delle tutele contrattuali e della libertà del lavoratore di poter adire a queste scelte». Il sindacato, a questo punto, non esclude un ricorso sulla legittimità costituzionale del provvedimento. Iniziativa che potrebbe non essere sottoscritta dalle altre sigle. «Agitare fantasmi, come l’abolizione implicita dell’articolo 18 non serve, né occorre assumere posizioni allarmistiche che confondono i lavoratori», è il giudizio del segretario confederale della Cisl, Giorgio Santini. Mentre per l’Ugl «anche se la legge introduce modifiche rilevanti alla procedura del diritto del lavoro, attraverso la contrattazione collettiva sarà comunque possibile innalzare garanzie e tutele a vantaggio dei lavoratori». Durissima e concorde, invece, la contestazione da parte di Pd e Idv, che parlano di «legge sciagurata» che «cancella 100 anni di lotte sindacali».
 
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