giovedì 11 marzo 2010

Finiti gli aiuti, la Germania tira il freno

La produzione riparte, ma forse non c’è molto da festeggiare. Il tonfo della Germania è infatti talmente forte da scuotere facilmente quel piccolo, seppure importante, +0,1% su base annua registrato dall’Istat a gennaio. Nello stesso mese, infatti, le esportazioni tedesche sono praticamente crollate, registrando un ribasso del 6,3% rispetto a dicembre 2009, quando l’indice era salito del 3,4%. Per avere un’idea dell’entità della frenata basti pensare che gli analisti si aspettavano un incremento dell’export dello 0,5%. Le cose sono andate un pochino meglio su base annua, con l’indice che ha segnato un rialzo dello 0,2%. Ma il surplus commerciale del Paese si è comunque quasi dimezzato a 8 miliardi dai precedenti 13,4 miliardi. Ancora più drastico, secondo i dati diffusi ieri dall’ufficio federale di statistica, il ridimensionamento del surplus corrente, che è sceso a 3,6 miliardi dai 19,9 miliardi di dicembre. Se a questo si aggiunge un aumento della produzione a gennaio dello 0,6% rispetto a previsioni che la davano abbondantemente sopra l’1%, il rischio che la locomotiva tedesca inizi a sentire gli effetti dello stop agli incentivi di Stato che hanno trainato l’economia nel 2009 è più che concreto.


Se così fosse, per noi non si preannuncia nulla di buono. La Germania resta infatti il principale partner commerciale dell’Italia sia in termini di esportazioni dal nostro Paese sia in termini di investimenti diretti in entrata. Per ora l’import tedesco tiene. Ma il crollo dell’export potrebbe essere il primo assaggio di un calo della domanda che avrebbe ripercussioni molto negative sull’Italia. Una doccia gelata per gli entusiasmi suscitati ieri da quello 0,1%. Che per quanto piccolo, come ha detto Claudio Scajola, rappresenta «il primo dato annuale positivo dall’aprile 2008». Anche l’analisi congiunturale (mese su mese) sembra giustificare l’ottimismo. A gennaio l’indice destagionalizzato è salito del 2,6% rispetto al -0,2% di dicembre (rivisto da -0,7%).

A riportare tutti con i piedi per terra ci pensa pure l’Ocse, che ieri ha snocciolato numeri e statistiche tutt’altro che incoraggianti. Ventesima su trenta per Pil pro capite, per effetto della crisi l’Italia rischia ora di scivolare agli ultimi posti della classifica se non interviene rapidamente su alcuni punti deboli, come la scarsa produttività e l’eccessiva pressione fiscale su lavoro e pensioni. Questo l’avvertimento lanciato dall’Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico nel rapporto Obiettivo crescita 2010, secondo il quale gli effetti a lungo termine della crisi sul nostro sistema produttivo saranno molto più pesanti che altrove. L’Ocse quantifica il colpo in un taglio di 4,1 punti del Pil. Impatto superiore alla media dei Paesi membri, stimata a 3,9 punti di calo, ma soprattutto più alto di quello previsto per le principali economie dell’Unione europea (Francia -2,8, Gran Bretagna -2,9, Germania -3,9) e del mondo (Stati Uniti -2,4, Giappone -2,1).

Tra i principali handicap del nostro Paese, sottolinea l’Ocse, l’insufficiente produttività della manodopera e la pressione fiscale. Per rilanciare l’economia occorre dunque «ridurre i tassi marginali d’imposizione sul reddito e i contributi previdenziali, e ampliare il campo delle deduzioni sui costi della manodopera a livello di imposta regionale sulle attività produttive». Al messaggio rivolto a Giulio Tremonti si associa immediatamente Emma Marcegaglia, che chiede al governo di recuperare le risorse per finanziare lo sviluppo, anche attraverso un taglio delle tasse per famiglie e imprese. Confindustria non è comunque pessimista, Pur restando ribadendo che la ripresa sarà «lenta e graduale», l’ufficio studi di Viale dell’Astronomia sostiene che nel primo trimestre 2010, la variazione congiunturale acquisita della produzione industriale è pari a +2,6% (-0,6% nel quarto 2009). Se confermata, aggiungono gli esperti, farà da traino a un rimbalzo significativo del Pil, che avrà comunque difficoltà quest’anno a centrare il target dell’1%. Per quanto riguarda il 2009, l’Istat ha corretto in peggio le stime portando il crollo a -5,1% rispetto al precedente 4,9%.

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