martedì 23 marzo 2010

Il made in Italy è legge. Super multe a chi bara

Per una volta le polemiche e gli insulti sono rimasti a casa. E non è poco, considerati i bollori pre-elettorali che scuotono gli schieramenti. A provocare il raro momento di convergenza è stata la difesa del made in Italy, che ieri ha compiuto un significativo passo avanti con il voto bipartisan della commissione Attività produttive della Camera. Un via libera all’unanimità che ha trasformato in legge il ddl Reguzzoni-Versace sulla tutela dei prodotti nazionali.


In base al provvedimento la denominazione “made in Italy” potrà essere usata esclusivamente per prodotti finiti le cui fasi di lavorazione abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio italiano. In particolare, se almeno due delle fasi di lavorazione sono state eseguite nel territorio italiano e se per le rimanenti fasi è verificabile la tracciabilità. Non solo. L’etichetta obbligatoria dovrà anche contenere indicazioni sulla conformità dei processi di lavorazione alle norme vigenti in materia di lavoro, la certificazione di igiene e di sicurezza dei prodotti; l’esclusione dell’impiego di minori nella produzione; il rispetto della normativa europea e degli accordi internazionali in materia ambientale. Le nuove disposizioni riguardano i prodotti tessili, dell’abbigliamento delle calzature e della pelletteria.

Infischiarsene della normativa non sarà privo di conseguenze. La mancata o scorretta etichettatura dei prodotti e l’abuso della denominazione made in Italy saranno puniti con una sanzione amministrativa da 10mila a 50mila euro. La merce sarà sempre oggetto di sequestro e confisca. Se le violazioni sono reiterate scattano le sanzioni penali, con la reclusione da 1 a 3 anni. Che salgono fino a 7 se dietro c’è una apposita organizzazione. Se ad abusare del made in Italy sono invece le imprese, la sanzione andrà da 30mila a 70mila euro con la sospensione dell’attività fino ad un anno.

«L’approvazione della legge è una vittoria per tutti i consumatori e per le numerose aziende che ancora oggi stanno affrontando il difficile periodo di crisi», sostiene il deputato della Lega, Matteo Bragantini. Entusiasta anche Raffaello Vignali (Pdl), secondo il quale «è un gran giorno, in cui si dimostra che si può difendere un sistema economico senza rinchiudersi in un protezionismo egoistico, dannoso per un Paese che ha nell’export un punto di forza». Parla di «pietra miliare» Massimo Calearo (Api), il quale avverte però che «siamo solo all’inizio, al primo step di un percorso che difende la struttura portante dell’economia italiana, la piccola media impresa». Ed ecco il problema: malgrado la buona volontà del Parlamento italiano, senza il sostegno di quello europeo, il provvedimento resterà lettera morta. Determinante, in questo senso, è lo slittamento di quattro mesi dell’entrata in vigore della legge, previa notifica alla commissione Ue per il necessario esame di compatibilità. «Si tratta», ha spiegato il viceministro allo Sviluppo, Adolfo Urso, «di un atto politico, per rafforzare la posizione negoziale dell’Italia su una materia che resta di esclusiva competenza dell’Unione». La speranza è che da Strasburgo non arrivino intoppi. «Faremo ogni sforzo in sede europea», dice Urso, «affinché il regolamento sulla etichettatura obbligatoria, da noi proposto già nel 2003, possa essere approvato celermente dal parlamento europeo».
 
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