martedì 31 ottobre 2017

Le Province non chiuderanno, anzi ci costeranno di più

Vivono e incassano pure. Dopo lo stupore provocato circa un anno fa per le elezioni dei rappresentanti locali, gli italiani dovranno fare nuovamente i conti con la riapparazione degli enti che si credevano scomparsi dal 2014. La legge di bilancio trasmessa ieri al Senato ha infatti previsto che alle province e alle città metropolitane delle regioni a statuto ordinario, per l’esercizio delle funzioni fondamentali, è attribuito un contributo complessivo di 352 milioni di euro per l’anno 2018, di cui 270 milioni di euro a favore delle province e 82 milioni di euro a favore delle città metropolitane. Non è tutto. Alle province vanno anche 110 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2019-2020 e di 180 milioni annui a decorrere dall’anno 2021.

Una bella sommetta per delle realtà che non dovrebbero neanche esistere. Questo, almeno, ci avevano raccontato nel 2014 quando la Camera convertì in legge il ddl Delrio che trasformava le province in enti di secondo livello, senza più dunque elezioni dirette. Il presidente  è, infatti, eletto dai sindaci e dai consiglieri dei Comuni della provincia e resta in carica quattro anni. Il consiglio provinciale è  eletto dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della provincia e resta in carica due anni;   Ad alcuni sembrò strano che invece di abolirli, gli enti venivano addirittura sottratti al controllo democratico.   Si trattava, spiegò allora il governo, di un meccanismo che avrebbe portato in breve alla sparizione delle province. Nell’attesa agli enti vennero confermate le competenze in materia di edilizia scolastica, tutela e valorizzazione dell’ambiente, trasporti e strade, controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazione e la promozione delle pari opportunità sul territorio. L’unico risultato tangibile fu che le province passarono da 107 a 97. Ma anche qui c’era l’inganno, perché le dieci mancanti erano state semplicemente trasformate in città metropolitane.  Ad un certo punto si scoperto che per abolirle veramente serviva una modifica costituzionale. E qui si arriva al famoso referendum dello scorso anno, che avrebbe dovuto cancellare la parola province dall’articolo 114 della Costituzione, rimandando però ad una nuova legge ordinaria il riordino sostanziale e non solo formale degli enti. Una soluzione che puzzava di ennesimo ingarbuglio a distanza considerevole. E infatti, malgrado l’ex premier Matteo Renzi avesse puntato forte sull’abolizione delle province per spingere la consultazione popolare, non molti seguirono il suo consiglio.
Bocciato il referendum, tutto sembra essere tornato esattamente come prima. Al punto che la deputata marchigiana del Pd, Alessia Morani, ha festeggiato la notizia della legge di bilancio, spiegando che le risorse andranno «per scuole, strade e sistemazione delle frane» e che è «un modo per dare seguito all’esito del referendum del 4 dicembre».

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