giovedì 19 ottobre 2017

Il governo ha un'idea: tassare i risparmi

Altro che niente tasse. Alla fine, malgrado le rassicurazioni del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e del premier Paolo Gentiloni, i balzelli sono spuntati, eccome. A partire da quello più odioso, che andrà a colpire di nuovo il risparmio, già bersagliato negli ultimi anni da inasprimenti fiscali di ogni tipo. La novità uscita dalla bozza della legge di bilancio circolata nelle ultime ore è che l’imposta di bollo del 2 per mille, già applicata sulle somme lasciate dagli italiani nei conti deposito e sui prodotti di investimento, colpirà anche le polizze vita tradizionali, l’unica forma di risparmio restata finora parzialmente esente dalle mire dell’erario.

MINI PATRIMONIALE
La mini patrimoniale sarà applicata dal primo gennaio 2018 alle comunicazioni annuali inviate ai clienti che hanno un contratto del Ramo vita I, si legge nel testo, «con esclusione della componente per la copertura del rischio di morte o di invalidità permanente da qualsiasi causa derivante». La tassa graverà sulle tasche di milioni di italiani, ma peserà pochissimo nel bilancio dello Stato. Secondo le prime stime riportate dal Sole 24 Ore la misura garantirebbe all’erario 194 milioni nel 2018 e 292 milioni di euro a partire dal 2019.
L’altra idea che sembra perdente per tutti riguarda le imprese che hanno rapporti con la pubblica amministrazione. La norma prevede che dal prossimo marzo venga abbassata da 10 a 5mila euro la soglia che fa scattare i controlli preventivi della Pa prima di effettuare un pagamento. Nel caso in cui i beneficiari debbano ancora effettuare un versamento di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno all’importo fissato lo Stato non procede al pagamento.
La misura nasce per facilitare la riscossione, ma gli effetti previsti saranno assai limitati. Il recupero di tasse, secondo le stime contenute nel Documento programmatico di bilancio inviato a Bruxelles, è di 160mila euro.

I DEBITI DELLA PA
Ben più violento sarà l’impatto per le imprese, che in barba agli annunci dei vari governi continuano ad aspettare delle eternità per ottenere il saldo delle fatture inviate alla Pa. Secondo gli ultimi dati di Bankitalia lo stock dei debiti accumulati dalla pubblica amministrazione nei confronti delle aziende fornitrici ammonta ancora a 64 miliardi di euro, appena 4 miliardi in meno rispetto all’anno precedente. I ritardi nei pagamenti, secondo i calcoli effettuati da ImpresaLavoro, sono costati alle imprese 5,3 miliardi sotto forma di accesso al credito per consentire di pagare i propri dipendenti e onorare gli impegni presi.

RINVIATA L’IRI
Ma non è finita. Il menù fiscale della manovra prevede, tanto per stangare un altro po’ le imprese, lo slittamento al prossimo anno dell’Iri, la tassa al 24% per ditte individuali e società. Il rinvio vale circa 2 miliardi, che peseranno tutti sul groppone delle società. Lo sgravio previsto già dal 2017, infatti, sebbene sarebbe diventato effettivamente operativo solo in sede di dichiarazione dei redditi nella primavera del 2018, è stato già contabilizzato da molte aziende. Abbiamo sempre ritenuto l’Iri una misura estremamente onerosa e farraginosa, rispetto alla sua effettiva utilità per le piccole partite Iva», ha spiegato il viceministro dell’Economia, Enrico Zanetti, «ma che adesso il ministro Padoan e il suo staff valutino, per ragioni di cassa, di rinviarla retroattivamente, cioè togliendola per quest’anno a chi magari è passato apposta in contabilità ordinaria apposta per potersene avvalere, è una cialtronata che sposta ancora un’asticella che era già bassissima».

RENDITE PIÙ SALATE
E colpirà le imprese anche l’estensione alla partecipazioni rilevanti della mannaia del 26% introdotta dal governo Renzi sulle rendite finanziarie. L’imposta si applicherà dal prossimo anno non più solo sui dividendi corrisposti alle persone fisiche in relazione a partecipazioni non qualificate, ma anche per quelle «qualificate», per gli utili derivati dagli strumenti finanziari simili alle azioni e per quelli derivanti dai contratti di associazione in partecipazione.
Il fisco, inoltre, sfodera gli artigli anche sulle vendite di opere d’arte, oggetti di antiquariato o collezioni. Nella bozza della legge di bilancio sono previste due ipotesi: la prima prevede una tassazione sul reddito percepito, la seconda una modifica alle aliquote Iva applicate. Possibile anche considerare ai fini della tassazione sui redditi un forfait del 40% del reddito percepito.
Per recuperare un po’ di arretrati, infine, il governo pensa ad una grande asta di crediti fiscali. Ma  dalle «sofferenze» di Equitalia (circa 50 miliardi l’arretrato esigibile) si prevede un incasso di soli 4 miliardi di euro.  Praticamente una svendita.

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