giovedì 9 marzo 2017

Con il bonus ai poveri si arricchiranno solo gli immigrati

La beffa per i cittadini comunitari è, ancora una volta, dietro l’angolo. Per disinnescare l’offensiva grillina sul reddito di cittadinanza e mettere un po’ di benzina nello sfiatato motore della maggioranza il governo ha messo sul piatto un’altro bonus che rischia di finire tutto nelle tasche degli immigrati.
Così come già accade per le varie forme di sostegno alla natalità e alla maternità, anche il nuovo Reddito d’inclusione attiva, secondo quanto spiegato dal ministro del Welfare, Giuliano Poletti, circoscrive l’accesso al beneficio a chi risiede in maniera stabile nel nostro Paese. Ovvero i cittadini italiani e comunitari che abbiano dimora fissa in Italia da almeno due anni e quelli extracomunitari che siano in possesso della carta di soggiorno della durata di 5 anni.

Il principio, che può sembrare di buon senso sia sotto il profilo politico sia sotto quello finanziario, è però in contrasto con la direttiva europea 2011/98, secondo cui di fronte alle prestazioni pubbliche sociali tutti i cittadini extracomunitari in possesso di un permesso di soggiorno di almeno 6 mesi debbono essere considerati allo stesso modo.
La questione non è di poco conto. Basti pensare che, secondo le rilevazioni Istat, nel 2016 su circa 4 milioni di cittadini extracomunitari presenti nel nostro Paese oltre 1,5 milioni sono in possesso di un titolo di soggiorno a breve scadenza. Allargare  la platea dei bonus anche a questa tipologia di immigrati significa, dunque, prevedere un incremento del 60% del bacino dei potenziali beneficiari. Il che significa o rimpinguare gli stanziamenti o lasciare a bocca asciutta una parte degli aventi diritto. E trattandosi di prestazioni sociali rivolte alle fasce meno abbienti, con pochi soldi e molti figli, non è difficile immaginare chi resterebbe fuori dal perimetro.

La questione non è ancora all’ordine del giorno. Ma si porrà presto. L’Inps, che eroga materialmente gli assegni, è già da alcuni anni preso d’assedio dagli extracomunitari esclusi dai benefici. E in più di un’occasione l’istituto guidato da Tito Boeri è stato costretto a soccombere davanti alle sentenze sfavorevoli dei tribunali. Da quest’anno il duello si riproporrà anche sul bonus mamme domani, introdotto dal governo nella manovra di fine anno con i soliti vincoli e già finito nel mirino di Cgil e Asgi (Associazione studi giuridici per l’immigrazione), che hanno annunciato ricorsi e promesso fuoco e fiamme se i criteri non saranno allargati sulla base del dettato europeo.

Ma il contenzioso, finora rimasto sul terreno delle carte bollate, potrebbe rapidamente trasformarsi in un pericoloso braccio di ferro politico con l’Europa. Nell’ambito di un procedimento relativo all’assegno per le famiglie numerose davanti alla Corte d’appello di Genova la pratica è infatti finita sul tavolo della Corte di giustizia europea. Per il verdetto ci vorrà tempo, ma sulla questione si è già espressa la Commissione europea, che in un parere del servizio giuridico ha ribadito che il principio comunitario della parità di trattamento «osta ad una normativa, come quella italiana, in base alla quale un lavoratore di Paese terzo con permesso unico per lavoro di durata superiore a 6 mesi non può beneficiare di tale assegno». Parole che, secondo gli esperti dell’Asgi, aprono la strada ad una possibile procedura d’infrazione contro l’Italia. Se così fosse, le risorse già esigue stanziate dal governo non basteranno più nemmeno a garantire quel povero su tre che attualmente incasserebbe il Reddito d’inclusione.

© Libero