giovedì 5 gennaio 2017

Siamo in deflazione, ma forse la rimpiangeremo

Dodici mesi sotto zero, come non accadeva da oltre mezzo secolo. Il 2016 è stato il primo anno di deflazione per l’Italia a partire dal 1959, con un calo dei prezzi al consumo che, secondo i dati provvisori dell’Istat, si è attestato in media a -0,1%. A trascinare l’inflazione in territorio negativo per ben otto mesi su dodici sono stati principalmente i consumi e le quotazioni del petrolio. Al netto degli alimentari freschi e dei prodotti energetici, infatti, i prezzi sono saliti dello 0,5%, malgrado un rallentamento dal +0,7% del 2015.

Il clamoroso record negativo, però, appartiene già al passato. Pur non avendo la forza di ribaltare il dato complessivo annuo, infatti, a partire da novembre i prezzi sono tornati a salire. E a dicembre il tasso di inflazione ha raggiunto lo 0,5% nei dati provvisori, il livello maggiore da due anni e mezzo, dal maggio 2014.
Un dato che, secondo molti, dovrebbe far ben sperare. In realtà, la percentuale di crescita dei prezzi non solo è molto lontana da quella dell’insieme dell’Eurozona, dove l’incremento è a velocità doppia (+1,1%), ma non è neanche accompagnata da una ripresa dell’economia. E il ritorno dell’inflazione, in assenza di un significativo incremento dell’occupazione e degli stipendi, si tradurrebbe inevitabilmente in un ulteriore taglio del potere d’acquisto delle famiglie. In altre parole, uscita dalla spirale deflazionistica, l’Italia rischia di scivolare nella stagflazione, ovvero la coincidenza di recessione ed aumento dei prezzi. Uno scenario che potrebbe essere fatale per il Paese.

A spingere al rialzo i listini, il mese scorso, è stata soprattutto l’energia, sull’onda del rialzo delle quotazioni del petrolio dopo l’accordo dei Paesi Opec per il taglio della produzione. In particolare i prezzi dei beni energetici non regolamentati, come i carburanti, hanno guadagnato a dicembre il 2,4%, dopo aver perso nell’intero 2016 il 5,9%. A trainare i rincari ci sono anche i servizi di trasporto, i beni alimentari non lavorati e, soprattutto, il carrello della spesa (prodotti alimentari, per la cura della casa e della persona), che a ridosso del Natale è diventato più costoso dello 0,6% dopo essere rimasto praticamente fermo tutto l’anno.

Se al fenomeno non si affiancherà una ripartenza decisa del Pil, e quindi dei redditi, gli italiani si troveranno presto con gli stessi soldi in tasca ma con una ridotta capacità d’acquisto. La stessa Confesercenti, pur considerando «positiva» l’inversione di tendenza, ammette che la situazione, «dal punto di vista dei beni commercializzati e quindi delle spesa dei consumatori come causa eventuale di una ripresa del prezzo dei beni, resta incerta».
Anche per Adusbef e Federconsumatori «le prospettive per l’anno che è appena iniziato non appaiono rosee: l’economia deve essere risollevata attraverso interventi che diano una scossa alla domanda interna e che rilancino l’occupazione». La beffa, insomma, è che alla fine potremmo anche rimpiangere la deflazione.

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