mercoledì 25 gennaio 2017

Lo Stato entrerà anche nelle banche venete

I timori di un contagio iniziano a prendere corpo. Così come quelli del Servizio Bilancio del Senato, che qualche giorno fa avanzava dubbi sulla capacità del fondo di 20 miliardi di assorbire tutte le scosse del sistema bancario italiano. Già, perché l’ipotesi che la nazionalizzazione di Mps possa essere solo la prima di una serie di operazioni simili non è più così peregrina. Anzi. Ieri l’agenzia di rating canadese Dbrs ha messo nero su bianco quello che nelle sale operative degli analisti finanziari già circola da tempo: dopo Siena, anche la Popolare di Vicenza e Veneto Banca avranno bisogno dell’intervento pubblico a carico dei contribuenti.

Per gli esperti della società che una decina di giorni fa ha tolto l’ultima A rimasta al nostro Paese, portando il rating sul debito sovrano a BBB, è tutto il settore bancario ad essere in difficoltà. Gli istituti, si legge nel rapporto, «risentono di prospettive economiche modeste, del peso dei crediti deteriorati per 356 miliardi, di scarsi investimenti, di un oneroso contesto regolamentare, mentre la fiducia degli investitori resta volatile». In questo scenario, una grossa fetta del mondo del credito «dovrà prendere provvedimenti aggiuntivi mirati alla riduzione dei costi e al rafforzamento patrimoniale». Alcune banche saranno in grado di affrontare la sfida da sole in relative tranquillità. Anche se pure il successo dell’aumento non troppo difficoltoso di Unicredit per 13 miliardi è legato ad una serie di fattori chiave come l’accesso al mercato e il sentimento degli investitori.
Altri istituti, però, «come Mps, Veneto Banca e Banca popolare di Vicenza, che hanno avuto fuoriuscita di liquidità e non hanno avuto accesso nel 2016 al mercato dei capitali probabilmente fallirebbero senza un sostegno esterno».

A far drizzare le antenne agli analisti è stata probabilmente la richiesta dello scudo del Tesoro alle emissioni dei bond che la scorsa settimana ha ricevuto il via libera della Commissione Ue. La garanzia statale sui bond rappresenta sicuramente una boccata d’ossigeno che allenta la pressione sul fronte della liquidità. Nel corso del 2017 le due banche, che già hanno accusato lo scorso anno un forte calo dei depositi, dovranno infatti fare i conti con il rimborso di circa 3,3 miliardi di obbligazioni. Ma l’ingresso di Bpvi e Veneto Banca nel perimetro degli aiuti di Stato, dove pascolano già, oltre ad Mps, anche tre delle quattro good bank cedute ad Ubi, costituisce inevitabilmente anche un segnale di debolezza. Che potrebbe tradursi in qualcosa di peggio se l’ad Fabrizio Viola, peraltro ex di Mps, non riuscirà a trovare la quadra entro qualche settimana, quando dovrà essere presentato il nuovo piano industriale.

Le incognite riguardano non solo la capacità patrimoniale e finanziaria delle due banche, ma anche quella del fondo Atlante, che dopo i 2,5 miliardi spesi per l’acquisizione, in seguito all’impossibilità di reperire sul mercato le risorse necessarie agli aumenti, ha già messo sul piatto un altro miliardo, riducendo all’osso la sua potenza di fuoco. Il veicolo gestito dalla Quaestio sgr di Alessandro Penati è infatti partito con una dotazione di circa 4,25 miliardi. Mentre Atlante 2, che puntava a raccogliere 3,5 miliardi, ha finora rastrellato sul mercato solo 1,75 miliardi. Se si tiene conto che il secondo fondo ha già speso 500 milioni per rilevare i crediti deteriorati delle tre good bank e che le due popolari venete hanno in pancia 9 miliardi di incagli netti, di cui 3,1 in sofferenze, si capisce bene che le risorse a disposizione sono assai limitate.

Il fabbisogno di capitale necessario a rimettere sui binari i due istituti per il progetto di fusione è invece cospicuo. La vigilanza della Bce vuole avere garanzie precise sulla capacità di navigazione del nuovo gruppo e pretende che tutto sia in regola prima della partenza. Il che significa trovare capitale aggiuntivo per circa 2,5-3 miliardi. Qualcuno ha ipotizzato uno sforzo ulteriore della Cdp in Atlante, dove ha già parcheggiato complessivamente circa 400 milioni. Ma l’attivismo della Cassa, peraltro criticato dalla Corte dei Conti, difficilmente potra coprire tutto il fabbisogno. Di qui il piano B: recuperare i 2-3 miliardi con una seconda ricapitalizzazione precauzionale, sulla scia di quanto previsto per Mps.

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