All’ombra del Campidoglio se la ridono di gusto. La grande riforma federalista costruita sui costi standard doveva mettere i comuni spendaccioni in riga e fare piazza pulita delle vecchie incrostazioni centraliste, che attraverso il criterio della spesa storica indirizzavano i soldi verso i sindaci amici piuttosto che verso quelli virtuosi. Alla fine, però, a ricevere i maggiori benefici della riforma sarà proprio Roma «ladrona», quella delle spese incontrollate e dei debiti stratosferici.
A svelare la beffa colossale nascosta dietro i nuovi parametri ci ha pensato l’Ufficio parlamentare di bilancio, che nel dossier su «Fabbisogni standard e capacità fiscali nel sistema perequativo dei comuni» ha calcolato quanto entrerà in tasca ai sindaci con i meccanismi introdotti in seguito all’accordo della conferenza Stato-città del 2015. La determinazione dei trasferimenti dal Fondo di solidarietà comunale (circa 5,8 miliardi nel 2017) a ciascun ente deriva da una serie di complicate formule algebriche che tengono conto della gradualità con cui la riforma andrà a regime, dei ristori del gettito perso con l’abolizione di alcuni balzelli sulla casa, di correzioni statistiche, della componente perequativa, di quella storica e di quella innovativa.
Ma il quadro complessivo è chiaro. Il dato che emerge dalla tabella relativa al 2017 è che calano le risorse per i comuni del Nord (-0,9% delle risorse storiche), aumentano lievemente per il Sud (+0,5%) e crescono sensibilmente per il Centro (+2,1%). Roma quest’anno porta a casa 182 milioni, con un incremento del 6,7% rispetto ai trasferimenti storici e dell’1,5% rispetto al 2016. Nessuno riesce complessivamente a fare meglio, anche se Ravenna (20 milioni) tiene il passo con un +2% sul 2016 e un +2,1% sulle risorse storiche. E Brescia (5,5 milioni) incassa un +1,2% rispetto allo scorso anno e un incremento sul passato del 3,8%. Per Milano (11 milioni) c’è, invece, una perdita dell’1,3% sul 2016, ma un aumento dell’1,8% rispetto ai trasferimenti storici. In fondo alla lista ci sono Napoli (-1% e -3,3%, 343 milioni), Taranto (-1,2% e -3,3%, 40 milioni) e Firenze (-1,5% e -3,8%, 60 milioni).
Storture temporanee? Non proprio. Quando la riforma entrerà a regime, nel 2021, Firenze e Napoli resteranno sempre agli ultimi posti, con un taglio del 10,5% sulle risorse storiche mentre Roma farà un balzo addirittura del 16,5%. Il che non significa, purtroppo, che la Capitale è diventata di colpo efficiente e parsimoniosa. Ma che la legge, come spesso accade, è uscita zoppa. L’introduzione dei fabbisogni standard non è infatti stata accompagnata dalla definizione dei livelli essenziali di prestazione, che servirebbe per misurare gli obiettivi minimi di spesa dei comuni. In questo modo i costi standard dipendono dai servizi effettivamente prestati e non da quelli che sarebbe necessario prestare. Il risultato è che i soldi del fondo continuano ad essere distribuiti sui livelli storici di spesa, che nel caso di Roma l’elevatissima pressione fiscale e i continui foraggiamenti ad hoc del governo centrale hanno portato fuori controllo.
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