giovedì 19 gennaio 2017

Gentiloni si lagna dalla Merkel. Leo lo ignora, lui ringrazia

Ventisei minuti di sonnecchiante conferenza stampa in cui la frase più forte è stata «piccolo cabotaggio». Le attese della vigilia, dopo gli stracci volati tra Roma e Berlino sul caso Fca e l’irritazione del governo italiano per la richiesta di una manovra correttiva, lasciavano presagire un vertice al calor bianco, carico di polemiche e tensioni.

L’incontro in Germania tra Paolo Gentiloni e Angela Merkel si è invece rivelato un soporifero tête à tête tra vecchi amici. I temi sul tavolo della trasferta del premier, volato a Berlino insieme ai vertici di Confindustria per la conferenza economica italo-tedesca, erano tanti e tutti roventi: immigrazione, lotta al terrorismo, tenuta dell’Unione europea, vincoli di bilancio, aiuti alle banche, dieselgate.
Ma niente è riuscito a scalfire l’imperturbabilità di Gentiloni, che ha continuato a ripetere come un mantra la necessità di lavorare insieme. «Zusammen» ha persino detto in tedesco. Pochissime le questioni su cui l’ex ministro degli Esteri si è spinto oltre le frasi di circostanza. A partire dal caso Fca, su cui Gentiloni si è limitato a «ribadire, in tutta amicizia», alla Merkel, «che sono questioni regolate dalle leggi che attribuiscono alle autorità nazionali i controlli sulle emissioni». Quindi, «noi decidiamo per quello che ci riguarda e siamo certi che i tedeschi facciano lo stesso». Il concetto è chiaro, ma ben lontano dalle bordate arrivate nei giorni scorsi dai ministri Delrio e Calenda dopo le richieste del governo tedesco alla Fiat di ritirare alcune modelli ritenuti illegali dalla commissione d’inchiesta di Berlino sul dieselgate. Accuse su cui, nel placido e rilassante vertice bilaterale, neanche la Merkel ha voluto dire una parola.

E morbido è anche il ragionamento con cui il premier ha rinnovato le critiche al doppiopesismo europeo. Se prima, ha detto, si parlava spesso «di una Europa a due velocita, oggi mi pare che si parli di Europa a due rigidità: molto rigida su alcune cose, molto meno su altre». Il riferimento è scontato. «Non possiamo», ha proseguito, «dare la sensazione che l’Europa si muova con operazioni di piccolo cabotaggio e che adotti una flessibilità a corrente alternata, rigida sui decimali di bilancio e molto ampia su questioni fondamentali come quella migratoria».
Sul primo punto, malgrado la lettera arrivata da Bruxelles che ci chiede di spiegare entro febbraio dove troveremo altri 3,6 miliardi da infilare nei conti pubblici, Gentiloni non si è spinto oltre. Se non con qualche accenno, fatto in seguito di fronte alla platea di imprenditori, sul fatto che «la fase dell’austerity è finita» e «l’Italia non è più fiscalmente irresponsabile».
Sul fronte dell’immigrazione, invece, il premier ha ribadito che «deve essere tutta l’Europa ad impegnarsi. Non possono essere solo Italia, Grecia o Germania a reggere il Peso». Posizione condivisa dalla Merkel, secondo cui «l’immigrazione non è un problema che riguarda i singoli Paesi, ma tutta l’Unione».
Quanto alle banche, Gentiloni ha confessato di non averne parlato con la cancelliera. L’Italia ha preso «una decisione rilevante», ha spiegato, e si sta confrontando con le autorità europee.


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