sabato 21 gennaio 2017

"Prestiti agli amici senza garanzie". Così Pop Vicenza ha fatto crac

«Finanziamenti concessi a soggetti sprovvisti di rating o con rating negativo, all’esito di istruttorie di tenore meramente descrittivo e spesso carenti di analisi sulla capacità di rimborso dei beneficiari o caratterizzate dall'assenza di idonee garanzie. Tali anomalie hanno interessato anche operazioni creditizie a favore di esponenti aziendali, ivi inclusi ex consiglieri di amministrazione».  Sembra la fotografia delle operazioni che hanno portato il Monte dei Paschi di Siena ad accumulare 47 miliardi di sofferenze: prestiti facile senza garanzie ad amici e sodali che poi si sono ben guardati dal restituire i soldi.

Ma la descrizione non riguarda l’istituto sense, bensì la Popolare di Vicenza, istituto che da giovedì, con il via libera della Commissione europea alla garanzia di Stato sulle emissioni obbligazionarie, è entrato nella grande giostra delle banche sovvenzionate con i quattrini dei contribuenti. Le risorse necessarie a scudare i bond saranno infatti prelevate dal fondo creato con 20 miliardi di debito aggiuntivo.
A puntare il dito sul malcostume creditizio della banca non è un’associazione dei consumatori o un politico d’assalto, ma gli attuali amministratori di Bpvi. L’analisi dettagliata del meccanismo con cui la banca è finita a gambe all’aria è infatti contenuta nella  relazione agli azionisti firmata dall’attuale presidente dell’istituto Gianni Mion per illsutrare l’azione di responsabilità contro i vecchi vertici.
Anche a Vicenza, esattamente come a Siena, proprio in coincidenza con la crisi economica generale e quella specifica dell’istituto i finanziamenti hanno iniziato a correre. Soprattutto quelli di dimensioni rilevanti. Le indicazioni emerse dall’analisi statistica effettuata su un campione di operazioni creditizie di valore superiore a 5 milioni di euro o ad 1 milione nel caso di operazioni con esponenti bancari, si legge nel documento presentato all’assemblea del 13 dicembre scorso, «sono in sè sintomatiche di una attività creditizia priva di gradualità nell’inceremento dei volumi e carente nelle cautele adottate nel frazionamento delle erogazioni, che ha determinato, in controtendenza con il trend del sistena bancario nel periodo di riferimento, l’anomala crescita degli impieghi, cui ha fatto seguito, a partire dall’esercizio 2013, il progressivo aumento delle rettifiche sui crediti».

Due le operazioni emblematiche segnalate nella lettera. La prima è l’operazione San Marco, posta in essere con il dichiarato inteno di aprire una filiale a Cortina d’Ampezzo. Per trovare un sito adatto ad ospitare gli sportelli i manager della Bpvi nel 2011 hanno pensato bene di dare 20 milioni ad una società (Anpezo Srl e poi San Marco Srl) per l’acquisto e la ristrutturazione di un intero complesso alberghiero. L’operazione è, ovviamente, finita male. Nel 2015 la banca è stata costretta non solo a partecipare alla ricapitalizzazione delle società per coprire le perdite e garantire la continuità aziendale, ma anche ad incrementare ulteriormente, nel 2016, la quota nel capitale di San Marco Srl per compensare il debito contratto con la banca per sottoscrivere un altro aumento di capitale per coprire ulteriori perdite.
L’altra vicenda, solo citata nel documento, è quella della Lujan Spa, società all’epoca controllata da Alfio Marchini (ora le quote sono in mano ad una fiduciaria), che al momento dell’azzeramento delle azioni Bpvi  deteneva titoli per 32 milioni di euro. Il documento si limita a sottolineare i danni subiti con i finanziamenti accordati alla Lujin. Infomazioni più dettagliate si trovano nei rapporti di Bankitalia e della magistratura, che sta ancora indagando, secondo cui la società maltese Futura Funds, con il suo fondo Optimum, avrebbe sottoscritto un bond da 30 milioni emesso dalla società quotata Imvset, facente capo indirettamente a Marchini. Il cerchio si chiude con la Popolare di Vicenza che risulta unicos sottoscrittore del fondo Optimum.

© Libero