Ebbene: tra il 1999 e il 2015 si è verificato un vero e proprio record di mancati adempimenti, con gli obiettivi di medio termine «violati nell’80% dei casi», «due terzi dei Paesi che hanno sforato» i parametri «ogni singolo anno» e un debito pubblico dell’eurozona salito dal 60% del 1990 a oltre il 90% del 2015. Il problema, scrivono gli esperti, è che senza sanzioni efficaci per gli indisciplinati e senza benefici per i virtuosi il Patto di stabilità non può funzionare. Anche perché le «limitate competenze del Parlamento Ue creano un senso di carenza di democrazia».
Il risultato è che mentre noi facciamo la voce grossa «sui decimali» e sulle «ridicole letterine», come ha fatto l’ex premier Matteo Renzi solo qualche giorno fa, ma poi ci inginocchiamo ai diktat di Bruxelles, gli altri gettano direttamente le missive nel cestino.
Una soluzione di buon senso che sarà evitata anche questa volta. Al di là della voglia di Paolo Gentiloni di passare alla storia come il presidente del Consiglio che nei pochi mesi di permanenza a Palazzo Chigi è riuscito solo a tartassare gli italiani, il governo alla lettera risponderà nei tempi stabiliti, ovvero entro oggi. «Non abbiamo ricevuto alcuna notizia» di un’eventuale proroga, ha spiegato ieri il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, «quindi siamo ancora in attesa, con serenità e fiducia, di una replica dettagliata alla lettera». Quanto alla possibilità di uno sconto, per ora non se ne parla. «Siamo al fianco dell’Italia», ha precisato il commissario agli affari monetari, Pierre Moscovici, «ma abbiamo bisogno di un’Italia forte e soldia, in grado di controllare le sue finanze pubbliche».
Il che, tradotto, significa nuove tasse. Da qualche giorno aleggia lo spettro di un aumento dell’Iva, anticipando parzialmente la clausola di salvaguardia da 19,6 miliardi che scatterà il prossimo anno (tre punti percentuali in più di imposte indirette). Ma la stangata, come ha denunciato ieri la Cgia di Mestre, si abbatterebbe sulle famiglie meno abbienti, soffocherebbe i consumi e paralizzerebbe l’economia. Anche perché lo scenario, come spiega la nota sulla congiuntura dell’Ufficio parlamentare di bilancio, è di profonda «incertezza» proprio a causa della frenata del potere d’acquisto e della spesa delle famiglie.
Di qui il ragionamento del governo su un piano B che abbia effetti meno recessivi. Ma la coperta è cortissima. E l’impatto sui contribuenti ci sarebbe in ogni caso. Sia che si taglino le agevolazioni fiscali, sia che si aumentino le accise su benzina e tabacco o che si allarghi il reverse charge. In realtà, l’unica vera via d’uscita del governo, che toglierebbe anche molte castagne dal fuoco a Gentiloni sul fronte politico, è quella di una moratoria fino al Def di aprile. «Nessuna manovra estemporanea, ma scelte coerenti con una strageia di lungo periodo nell’interesse del Paese», questa la versione fatta trapelare ieri sera da Palazzo Chigi. Che Bruxelles si accontenti, però, è tutt’altro che scontato.