Ritardi, omissioni, carenze, morti. Per Paolo Gentiloni in Abruzzo «il governo ha fatto ogni sforzo possibile». Poco prima che dall’hotel di Rigopiano arrivasse la notizia di un altro ritrovamento, che porta a 25 il numero delle vittime, e proprio mentre a Loreto Aprutine il piccolo Edoardo, di 8 anni, assiste al funerale dei suoi genitori periti tra le macerie del resort, Paolo Gentiloni è al Senato a celebrare «la capacità di reazione del sistema, all’altezza di un grande Paese». A difendere il lavoro della protezione civile, che è «un patrimonio che dobbiamo tenerci stretto». A prendersela con la furia degli elementi, perché «la valanga che ha travolto l’hotel è arrivata al culmine di una concatenazione di eventi naturali veramente incredibile».
Certo, ha ammesso il premier in aula, «nel momento di picco della crisi le utenze non allacciate hanno raggiunto il numero considerevole di 177mila». Ed è giusto che ora il governo verifichi «quanto abbiano inciso le circostanze eccezionali e quanto problemi più generali di manutenzione». Certo, ha spiegato, i soccorsi non sono stati tempestivi, ma «le azioni sono state ritardate in modo drammatico per l’impossibilità di usare elicotteri e per le condizioni della viabilità». E appena è stato possibile lo Stato è arrivato, «in mezzo alla tormenta, con sci e pelli di foca».
Insomma, per il premier di più proprio non si poteva fare. E poco importa che siano stati sottovalutati gli allarmi valanghe, che la prefettura non abbia letto le mail con le richieste di aiuto, che la provincia non abbia mandato la turbina e che le forze dell’ordine abbiano preso gli sos per delle bufale. Se ci sono responsabilità, ha detto Gentiloni, saranno le inchieste ad individuarle. Non, però, l’opinione pubblica. Perché «il governo non teme la verità». Ma io, ha proseguito, «non condivido la voglia di capri espiatori e giustizieri». Quanto all’allarmismo degli ultimi giorni sulle dighe (qualcuno ha addirittura evocato il Vajont), anche qui, secondo l’ex ministro degli Esteri, è tutto a posto: ce ne sono ben 40 nell’area del sisma, ma tutte verificate.
Dopo aver snocciolato i numeri del lavoro svolto (11mila persone mobilitate, 3581 interventi di soccorso via terra, 32 elicotteri e 300 missioni), Gentiloni si è poi avventurato sul terreno insidioso del «dopo», quello degli aiuti, della ricostruzione, del sostegno alla popolazione, che ha già mostrato numerose falle nei mesi scorsi. Citando l’abruzzese Ignazio Silone, il presidente del Consiglio si è detto convinto che il pericolo di trasformare «la disgrazia in occasione di ulteriore ingiustizia» si possa evitare. Di qui l’idea di un altro provvedimento urgente, che però arriverà solo la prossima settimana. Nessun ripensamento, ha assicurato Gentiloni, dicendo di «rivendicare le decisioni prese dal governo Renzi » e di volersi «muovere in continuità».
Il che non è una grande garanzia, considerato che da agosto ad oggi, dopo tre terremoti, Palazzo Chigi è riuscito a mettere sul piatto solo 380 milioni, spalmando il malloppo di 6 miliardi inserito in legge di bilancio in comode rate da 200 milioni l’anno da qui al 2047. Per non parlare delle farraginosità burocratiche, che rendono praticamente impossibile chiedere sostegni per la ricostruzione e stanno ancora lasciando a bocca asciutta gli albergatori che ospitano gli sfollati.
Il nuovo decreto, ha promesso Gentiloni, lasciando intendere che qualcosa non ha funzionato, sarà «un passo avanti molto mirato nei suoi obiettivi» ed eviterà «che su alcuni punti e gangli si creino ritardi». Ci saranno, ovviamente, nuove risorse. Anch’esse «considerate spese eccezionali e dunque fuori dall’aggiustamento strutturale chiesto dalla Ue».
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