martedì 24 aprile 2012

Troppe tasse, niente tagli. In fumo mezza manovra

Mentre la Corte dei Conti ci informa che la mazzata di tasse in arrivo con le manovre correttive non servirà a nulla perché l'effetto recessivo manderà in fumo metà dell'impatto previsto sul deficit, le speranze che i Professori riescano a sforbiciare seriamente la spesa pubblica si fanno sempre più sottili.

La nebbia, insomma, s'infittisce. In barba alle manifestazioni di ottimismo di alcuni esponenti di governo. L'allarme della magistratura contabile, che già in passato aveva puntato il dito sugli effetti collaterali della stangata fiscale, è da togliere il fiato. Nel 2013, l'anno del pareggio di bilancio, spiega il presidente Luigi Giampaolino durante un'audizione alla Camera sul Def, «si può calcolare che l'effetto recessivo indotto dissolverebbe circa la metà dei 75 miliardi di correzione netta attribuibili alla manovra di equilibrio». In altre parole, i sacrifici degli italiani saranno completamente inutili. Il viceministro dell'Economia, Vittorio Grilli, ha assicurato ieri «che non ci saranno altre patrimoniali» né «altre manovre». Ma già con le misure varate, continua Giampaolino, quello che si prospetta «è un corto circuito rigore/crescita» il cui «pericolo» non è stato affatto «dissipato» dall'impianto del Def 2012-2015 appena varato dal governo. Preoccupazioni condivise da Bankitalia, che pur sottolineando la necessità del risanamento, spiega che le manovre «hanno avuto inevitabili effetti negativi sull'attività economica» e che il Paese potrà tornare a crescere solo con il taglio delle tasse, che è «l'obiettivo principale».

Ad azzoppare il Paese, secondo la magistratura contabile, è infatti proprio il ricorso eccessivo al prelievo fiscale, che sta «creando una pressione già fuori linea nel confronto europeo» e sta «generando le condizioni per ulteriori effetti recessivi». I numeri, del resto, parlano di una quota di entrate nel complesso della manovra Monti che va dall'82% nel 2012, fino ad oltre il 65% nel 2014. Il risultato è che la pressione salirà oltre il 45% del Pil in tutto il prossimo triennio. Essendo il livello ai suoi «limiti massimi», dice Giampaolino, affiancato anche da Via Nazionale, quello che ora «bisogna aggredire è la spesa».

Facile a dirsi, praticamente impossibile a farsi. Il crescendo dei litigi tra ministri fa presagire che dalla grande spending review annunciata dal governo uscirà il classico topolino. Il ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, assicura che sui tagli non c'è alcuna resistenza, anche se poi ammette: «Il punto lo faremo a breve, ma non siamo ancora pronti per farlo ora». I segnali che arrivano da Via XX Settembre non dicono nulla di buono. L'idea del ministro dei rapporti col Parlamento, Pietro Giarda, di costituire una task force alle sue dipendenze è piaciuta pochissimo. Tagliente il sottosegretario all'Economia, Gianfranco Polillo: «Io mi occupo di problemi di bilancio, ma Giarda non mi ha chiamato». Frena anche il viceministro Vittorio Grilli, secondo il quale «non dobbiamo illuderci perché l'impatto di qualsiasi taglio strutturale alla spesa pubblica non facilita la crescita». In ogni caso, aggiunge con il tono di un avvertimento, «gli interventi hanno bisogno di analisi e condivisioni». Diverso il discorso delle dismissioni, dossier in mano al Tesoro, di cui Grilli tiene a sottolineare l'importanza. «Per accelerare il pareggio di bilancio», spiega, «possono servire dismissioni e valorizzazioni del patrimonio pubblico. Su questo stiamo lavorando e speriamo di portare presto risultati». Risultati attesi con ansia anche dalla Corte dei Conti, che però ritiene la pratica così urgente da invocare, in stile Giarda, «una sede dedicata all'interno del governo supportata da una task force operativa».

Giampaolino appare comunque poco ottimista. Anche nel dl fiscale su cui il governo ieri ha posto la fiducia, a suo giudizio, ci sono interventi che suscitano perplessità. In particolare, le misure che «ampliano i margini per assunzioni negli enti locali» e quelle che introducono il patto di stabilità orizzontale nazionale «indeboliscono il rigore delle scelte finora assunte» e «contraddicono gli interventi diretti a valorizzare il ruolo del decentramento».

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