L'idea è quella di facilitare la cessione dei crediti nei confronti dello Stato agli istituti, scaricando però sulle Pmi il rischio di insolvenza. Tecnicamente si chiama “pro solvendo”. La sostanza è che se la Pa non sborsa, alla fine le imprese dovranno restituire alle banche i soldi ricevuti in prestito con tanto di interessi. Il meccanismo funziona benissimo per lo Stato. Permette, infatti, al Tesoro di non trasformare i debiti da commerciali a finanziari, senza quindi doverli contabilizzare come debito pubblico. Ma l'operazione potrebbe far finire le imprese tra l'incudine di una Pa che non paga e il martello delle banche che vogliono riscuotere. «La cessione pro solvendo proposta dall'Abi è per noi inaccettabile», ha detto senza mezzi termini Giorgio Guerrini, presidente di Confartigianato, a margine dell'incontro al ministero dello Sviluppo. «La strada maestra» per garantire maggiore liquidità alle pmi alle prese con la crisi e con la restrizione del credito, ha spiegato Guerrini, «è la compensazione tra crediti e debiti dello Stato. I crediti che hanno le imprese con la Pa vanno compensati alle scadenze fiscali con gli importi che le aziende devono versare». Se questo non fosse possibile, la seconda ipotesi dovrebbe essere quella del ”pro soluto”, ovvero di una cessione dei crediti con garanzia dello Stato e non delle imprese. «Non si è mai visto in nessun paese del mondo che gli interessi siano pagati dai creditori e non dai debitori», ha detto il presidente di Confartigianato, ribadendo una posizione già espressa qualche giorno fa dall'Ance.
La strada, però, sembra tracciata. L'opzione “pro solvendo” è stata inserita nel dl sulla semplificazione fiscale, mentre nel Piano nazionale per le riforme si legge che «è in fase di definizione» un sistema standardizzato di certificazione dei crediti delle pubbliche amministrazioni «per facilitarne la cessione al sistema bancario».
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