mercoledì 4 aprile 2012

C'è un giudice a Milano. La Fiom "deve" restare fuori dalla Fiat

Si complica il cammino della Fiom verso la bocciatura per vie legali degli accordi firmati dal Lingotto sulla base del cosiddetto “modello Pomigliano”. Dopo la sentenza di Bologna, che aveva definito antisindacale il comportamento della Magneti Marelli, le tute blu della Cgil avevano coltivato la speranza di poter proseguire la lotta sindacale con altri mezzi inondando di ricorsi (sono già oltre 40) i tribunali di mezza Italia.
Ieri, però, da Milano è arrivata la classica doccia gelata. Il giudice Rossano Taraborrelli ha infatti deciso che i delegati della Fiom non hanno alcun diritto di fare attività sindacale in azienda non avendo siglato gli accordi contrattuali di gruppo. Né più né meno di quanto sostengono da tempo non solo i legali della Fiat, ma anche molti esperti di diritto del lavoro.

Nel dettaglio, il verdetto del tribunale di Milano riguarda un ricorso della Fiom contro la Sirio, società che gestisce la sicurezza industriale del gruppo guidato da Sergio Marchionne. Secondo il giudice «nessuna delle doglianze proposte dalla ricorrente contro la Fiat appare fondata». Nessun comportamento antisindacale può essere invocato, ha spiegato Taraborrelli, in quanto «la norma di cui all’articolo 19 (dello Statuto dei lavoratori, ndr) è chiarissima ed inequivocabile». Tecnicamente «l’estromissione di un sindacato per quanto rilevante e maggioritario, ma non contraente, non può essere sanzionata quando avviene a seguito di comportamento unilaterale ma ammesso quando accade in ossequio a legge costituzionalmente ritenuta valida». E lo Statuto, di cui si discute, «ha superato ogni vaglio di costituzionalità post esito referendario». In altre parole, a sostenere che non avendo sottoscritto gli accordi, la Fiom non ha diritto alla rappresentanza non è questo o quel giudice, ma la legge. Non è dunque ai tribunali, suggerisce Taraborrelli, che bisogna rivolgersi, ma al Parlamento. «Gli effetti perversi di qualsiasi atto o fatto giuridico», ha infatti aggiunto, «sono semplicemente superabili con la loro rimozione ex legge, con la modifica della norma incriminata».

Il ragionamento non fa una grinza. Eppure, solo qualche giorno fa a Bologna il giudice Carlo Sorgi, leggendo lo stesso spartito, l’articolo 19, ha suonato una musica assai diversa. Tutto sembrerebbe ruotare intorno all’interpretazione del termine “contraente”. Letterale quella di Taraborrelli, libera quella di Sorgi, secondo cui la sottoscrizione di un contratto «non è indispensabile» per far scattare il diritto alla rappresentanza, basta «l’effettiva partecipazione alla contrattazione, anche in senso critico». Difficile dire chi abbia ragione, anche se i ripetuti riferimenti di Sorgi al peso numerico della Fiom non solo a livello locale nella Magneti Marelli, ma anche a livello nazionale con la Cgil, sembrano sottolineare uno sconfinamento dal diritto formale a quello sostanziale, in base al quale, scrive Sorgi, l’esclusione della principale sigla italiana di rappresentanza dei lavoratori «costituirebbe un grave vulnus al principio della democrazia nelle relazioni sindacali». Una cosa, comunque, è certa, sulla questione si preannuncia una guerriglia a colpi di carte bollate che non si esaurirà così facilmente. La Fiat ha ovviamente accolto con «grande soddisfazione» la sentenza. Mentre la Fiom ha, altrettanto ovviamente, annunciato che si opporrà legalmente alla decisione del tribunale.

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