martedì 24 aprile 2012

Senza credito il 40% delle piccole aziende

In barba ai 250 miliardi regalati (ad un tasso dell'1%) dalla Bce e ai quasi quotidiani annunci di fondi e plafond miliardari messi a disposizione delle imprese, i rubinetti delle banche sono sempre più chiusi. Guardare il grafico elaborato da Confcommercio sulle rilevazioni trimestrali dell'osservatorio sul credito fa un certo effetto. Nel primo trimestre del 2012 le due linee che si avvicinavano progressivamente fra loro dalla metà del 2008, si sono intrecciate e capovolte.

Per essere chiari, tra gennaio e marzo il numero di imprese che si è visto sbattere la porta in faccia dagli istituti di credito (il 37%) ha superato per la prima volta quello delle aziende che invece hanno chiesto e ottenuto il credito (il 34,2%). In gergo tecnico si chiama l'area di irrigidimento, formata, spiegano gli esperti di Confcommercio, dalla somma delle imprese che «si sono viste accordare un credito inferiore a quello richiesto e da quelle che non se lo sono viste accordare affatto». Incrociando queste percentuali con quella, in calo al 36,1% dal 41,8 del trimestre precedente, delle imprese in grado di fronteggiare il proprio fabbisogno finanziario senza difficoltà e con quella, in aumento al 19,3%, di chi è ancora in attesa di conoscere l'esito della domanda di credito, il quadro è completo. In sostanza, aumenta la necessità di liquidità dell'economia reale, diminuisce la disponibilità delle banche.

La situazione, al di là dei buoni propositi e delle dichiarazioni ufficiali, era già stata ampiamente fotografata da diverse angolature. Nell'ultimo outlook mensile dell'Abi, malgrado alcune minimizzazioni lessicali come «assestamento dei prestiti» e «decelerazione della dinamica dei finanziamenti», si leggeva chiaramente che a fine febbraio 2012 gli impieghi destinati alle imprese si sono praticamente arrestati, registrando un +0,2% rispetto al +1 di gennaio e al +4,8% dello stesso mese del 2011. Mentre dall'ultimo bollettino statistico di Bankitalia abbiamo appreso dove è finita una buona parte dei soldi provenienti dalle maxi aste di liquidità della Bce: tra dicembre e febbraio 2012 i titoli di Stato nel portafoglio delle banche italiane sono cresciuti di quasi 58 miliardi di euro. Un incremento definito dallo stesso viceministro dell'Economia, Vittorio Grilli, «di entità sensibile, considerato che nel 2011» si sono registrati aumenti mensili che «non hanno mai superato il massimo di 7,5 miliardi».

Alla mancanza di liquidità si aggiunge, inutile dirlo, l'aumento del costo dei servizi bancari. Secondo il rapporto di Confcommercio addirittura il 42,8% delle imprese ha avvertito tra gennaio e marzo un «sensibile peggioramento» delle condizioni.
Se questo è lo scenario, non stupiscono i dati catastrofici diffusi ieri da Cribisi D&B (società del gruppo Crif) secondo cui nel primo trimestre dell'anno si sono registrati in Italia 3.001 fallimenti, praticamente 33 al giorno. Un'ecatombe concentrata principalmente nelle aree della pensiola a maggior vocazione imprenditoriale. Un quinto dei casi (663 imprese hanno portato i libri in Tribunale) ha infatti riguardato la Lombardia. Seguono il Lazio e il Veneto.

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