mercoledì 27 luglio 2011

Fini colto sul fatto: stipendi aumentati


«Di qui alla fine della legislatura   il risparmio complessivo sarà di 151 milioni», annuncia Gianfranco Fini durante la cerimonia del ventaglio. Qualche ora prima, l’ufficio di presidenza di Montecitorio ha dato il via libera al pacchetto di tagli proposto dal presidente della Camera. Che, incontrando i giornalisti, non si è fatto scappare l’occasione per rivendicare quanto fatto: «La Camera restituirà al bilancio dello Stato 20 milioni nel 2011, 20 nel 2012 e 20 nel 2013». Sessanta milioni in tutto. A cui si aggiungeranno oltre 90 milioni di sforbiciate decise alcuni mesi fa.
Il presidente snocciola con orgoglio i numeri dei tagli (che anche il Senato nei prossimi giorni metterà in atto), ma evita di parlare dell’aumento del 3,2% delle retribuzioni che Montecitorio, come svelato ieri da Libero, ha concesso alla fine di giugno ai dipendenti, in barba ad un blocco per tutti gli altri statali che è partito nel 2010 e non si concluderà prima del 2014.

Malgrado il silenzio di Fini, lo scherzetto non è sfuggito alla Lega, che ha iniziato a martellare sul presidente chiedendo il ritiro della misura. «Chiedo al Presidente Fini», ha tuonato il sottosegretario alla Salute, Francesca Martini, «l’immediata sospensione degli aumenti a pioggia del 3,2% concessi poche settimane fa con un accordo sindacale». Un accordo, ha proseguito l’esponente del carroccio, «fatto passare in sordina e sottotraccia. Mentre Fini sbandierava tagli ai costi di Montecitorio, in silenzio venivano aumentate le buste paga di funzionari, impiegati e commessi, già elevatissime rispetto a tutti gli altri lavoratori esterni al Palazzo». Il trucchetto è piaciuto poco anche Marco Reguzzoni. «Da un lato Fini annuncia grandi tagli al bilancio della Camera», dice il capogruppo della Lega a Montecitorio, «dall’altro si comporta in maniera diametralmente opposta. Bisogna avere coerenza di comportamento quando si gestisce un bilancio da un miliardo di euro».

In serata, dopo una giornata passata a fare finta di niente, l’ufficio stampa della Camera ammette gli aumenti, ma si giustifica: «La misura è stata riconosciuta a fronte dell’introduzione di misure tese ad aumentare la produttività» e «corrisponde a quanto previsto dal decreto legge 78 del 2010 per i rinnovi contrattuali».
In realtà, le deroghe previste dal decreto (che è la manovra dello scorso anno) al blocco totale degli stipendi per tutti i dipendenti della Pa, come ci spiega un tecnico della Funzione pubblica, «erano limitate ad alcuni rinnovi già in corso da tempo e riguardavano somme di poche decine di euro per un numero assai circoscritto di dipendenti». In questo caso, considerate le cifre delle retribuzioni dei dipendenti della Camera, il 3,2% in più sviluppa aumenti di ben altra entità e corrisponde assai poco allo spirito della norma. Al vetriolo la replica della Martini: «La risposta dell’ufficio stampa della Camera conferma quanto detto e offende ogni lavoratore». Il dato che viene fuori, a detta del sottosegretario, è «preciso e imbarazzante: Fini da un lato parla di tagli, dall’altro aumento le retribuzioni». Quanto al decreto, ha aggiunto la deputata leghista, «sottolineo che non prevede alcun obbligo di concedere aumenti di stipendio». Tanto più ai dipendenti della Camera che, come è noto, godono di autonomia amministrativa e non ricadono, dunque, nel disposizioni previste dalla norma.

C’è anche chi è stato più fortunato dei dipendenti della Camera: gli ex parlamentari. Che, nonostante la manovra economica, in proporzione poco inferiore ai tre quarti non perderanno nemmeno un euro di pensione (tecnicamente, di vitalizio). Dei 2.238 parlamentari cessati dal mandato che, calcoli dell’Espresso, hanno diritto alla pensione, solo 412 subiranno un taglio del 5%. Doverosa premessa: l’elenco è aggiornato al 13 febbraio 2007: da allora, diversi titolari di vitalizio sono passati a miglior vita (ultimo l’ex ministro  democristiano Remo Gaspari, scomparso l’altro ieri). Nell’impossibilità materiale di verificare uno ad uno i singoli ex parlamentari, si è usato l’elenco completo: i numeri, pertanto, risulteranno leggermente in eccesso.
Bisogna partire dalla manovra economica, e dal contributo di solidarietà sulle pensioni introdotto dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti. La norma prevede un prelievo del 5% sulle pensioni superiori ai 90.000 euro annui lordi ed uno del 10% su quelle che superano i 150mila. La legge è stata recepita senza cambiare una virgola sia dalla Camera (che l’ha già approvata) che dal Senato (che lo farà la prossima settimana).
E qui iniziano i dolori. Prima di tutto perché nessun ex parlamentare percepisce vitalizi di prima fascia (l’incidenza del contributo del 10% risultando dunque pari a zero). E poi perché quelli che sfondano il tetto dei 90.000 euro sono un’esigua minoranza, poco più di un quarto del totale. Per arrivare a maturare tanto, bisogna avere infatti alle spalle almeno quattro legislature, mentre la media dei pensionati parlamentari si aggira sui due mandati.
Istruttivo, stando così le cose, andare a controllare chi sono i fortunati che hanno conservato l’assegno intatto. I signori nessuno, peones dimenticati di ere lontane, sono la stragrande maggioranza. Ma, a scorrere con pazienza l’elenco completo, le soddisfazioni non mancano. Si apprende, ad esempio, che non un euro di vitalizio sarà sacrificato da Eugenio Scalfari (3.108 euro mensili per cinque anni alla Camera), Gino Paoli (stessa cifra e stessa anzianità), Giuliano Pisapia (4.725 euro per dieci anni tondi a Montecitorio) e Vittorio Cecchi Gori (due legislature a Palazzo Madama e 4.725 euro).

La carrellata dei vip non finisce qui. Segue parziale e perfettibile elenco, in ordine crescente. Tra quanti continuano ad incassare 3.108 euro per una legislatura si contano Guido Rossi, Alberto Asor Rosa, Toni Negri, Rossana Rossanda, Luciano Benetton, Sandra Bonsanti, Marco Formentini, Fulco Pratesi, Carlo Taormina, Mario D’Urso, Claudio Magris e Pasquale Squitieri. Club dei dieci anni (e dei 4.725 euro al mese): Massimo Cacciari, Mario Capanna, Maura Cossutta, Tiziana Parenti, Paolo Pillitteri, Vito Riggio, Carlo Tognoli, Renato Zangheri e Giuseppe Guzzetti. Luciana Castellina del Manifesto, 11 anni alla Camera, porta a casa 5.098 euro mensili. Luigi Berlinguer, che di anni in Parlamento ne ha fatti 13, ogni trenta giorni intasca un assegno da 5.844 euro (idem per Lelio Lagorio). Quindici anni di Camere e 6.590 euro al mese per Giancarlo Abete, Nando Dalla Chiesa, Franco Debenedetti, Ferdinando Imposimato, Tiziana Maiolo, Giorgio Ruffolo, Carlo Scognamiglio e Massimo Teodori. Con buona pace dei tagli alla casta.


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