L’aumento dell’Iva è solo un’ipotesi, non una «preferenza». Annunciando per oggi l’arrivo dell’attesa manovra correttiva («mi scuso per il ritardo»), il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha chiarito che il governo «si è impegnato ad intervenire per modificare la previsione di incremento delle imposte e sostituirla con altre misure, sul lato delle spese e sul lato delle entrate».
Una posizione netta, che sembra, però, più dettata dalle pressioni politiche che arrivano dal Pd e dal suo segretario Matteo Renzi (che ieri ha ribadito: «l’Iva non si tocca e non si toccherà») che da riflessioni tecniche sulla composizione della prossima manovra. Nel dettaglio, infatti, nulla è stato deciso. «Non sono in grado di dire», ha spiegato durante l’audizione sul Def in Parlamento, «quali misure saranno esattamente prese».
I grandi aggregati da cui trarre le risorse sono noti: le spese, il miglioramento dell’efficienza dell’amministrazione tributaria e altre misure fiscali, senza interventi sulle aliquote. Ma si tratta di temi, ha ammesso il ministro, «su cui c’è un dibattito aperto nel governo». Un dibattito in cui Padoan auspica che si faccia anche «un’analisi tecnica oltre a quella politica». Come dire che la scelta dell’aumento dell’Iva sarebbe quella più corretta se non ci fossero le elezioni di mezzo.
La sostanza, al di là degli sfottò dei grillini, che parlano di un Padoan «schiacciato tra l’incudine di Renzi e il martello dell’austerity europea», è che l’ipotesi dello scambio tra tassazione indiretta e taglio del cuneo fiscale, ventilata dal ministro nell’intervista di Pasqua al Messaggero, è tutt’altro che spazzata via dal tavolo.
Sul piano tecnico ci ha pensato Bankitalia a riaprire il confronto, sostenendo che «una riconsiderazione dell’ampio ventaglio delle aliquote Iva non dovrebbe a questo stadio essere esclusa». Nel dettaglio, ha spiegato durante l’audizione il vice dg di Via Nazionale, Luigi Signorini, «lo scambio tra un inasprimento dell’Iva e la riduzione del cuneo fiscale è una questione complessa che merita di essere discussa e approfondita». Resta il fatto, secondo i tecnici di Palazzo Koch, che «la possibilità di reperire risorse tanto ingenti e in cosi breve tempo con il contrasto dell’evasione fiscale e la razionalizzazione non è sicura». Il riferimento è ai 19,5 miliardi necessari a sterilizzare l’aumento dell’Iva nel 2018 (dal 22 al 25% e dasl 10 al 13%) previsto dalle clausole di salvaguardia.
Per ora, l’unica certezza è la correzione dello 0,2% contenuta nella manovrina. Una misura strutturale che farà scendere il conto delle clausole sull’Iva per il prossimo anno allo 0,9% del pil. Ma si tratta sempre di oltre 15 miliardi da recuperare. E lo stesso Padoan ha ammesso ieri davanti ai senatori del Pd (nel corso dell’ormai consueto vertice di controllo) che «la crescita c’è, ma è insufficiente». Scettico sulla possibilità di sottrarsi alla stangata è anche l’Ufficio parlamentare di bilancio, che definisce il quadro programmatico del Def «sostanzialmente indefinito», spiegando che «in questo scenario appare di difficile realizzazione l’impegno ad una disattivazione totale delle clausole di salvaguardia».
Una prospettiva contemplata pure dalla Corte dei Conti, che ha invitato il governo a «perseguire con fermezza l’obiettivo di deficit all’1,2% nel 2018 ricercando la più efficace composizione tra una disattivazione anche parziale della clausola, o un ricorso ad altre misure fiscali, e misure di contenimento della spesa».
A spiegare le conseguenze dello scambio Iva-cuneo sull’economia italiana sono stati ieri i tecnici del Ref, che in uno studio per Confesercenti hanno calcolato che un aumento di tre punti sulle due aliquote inferiori porterebbe ad una riduzione dei consumi di oltre 8 miliardi, ad una impennata dello 0,7% dell’inflazione e ad una riduzione del pil dello 0,3%. Percentuali e cifre i cui effetti negativi si ripercuoteranno soprattutto sulle classi più disagiate. Le stesse fasce di popolazione che, secondo quanto spiegato ieri dall’Istat, nel 2016 hanno sentito di più i colpi della crisi. Il livello di povertà complessivo è rimasto «sostanzialmente stabile» all’11,9%, con 7,2 milioni di persone in uno stato di «grave deprivazione materiale». Ma entrando nel dettaglio, si scopre che l’indice ha subito preoccupanti variazioni al rialzo proprio tra le persone anziane, con una percentuale passata dall’8,4 all’11,1%, e nelle famiglie con la persona di riferimento in cerca di occupazione, dal 32,1 al 35,8%. Due tipologie che sarebbero costrette a subire la stangata dell’Iva senza alcun beneficio sul fronte del cuneo.
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