Un colosso del trasporto su ferro e gomma da 10 miliardi di fatturato, 75mila dipendenti, 43mila chilometri di reti gestite e una capacità di investimenti di 7,2 miliardi l’anno. Dopo mesi di approfondimenti tecnici, studi di fattibilità e negoziati politici, la fusione tra Anas ed Fs sembra arrivata al giro di boa. Il colpo d’acceleratore si è avuto ieri mattina, nel corso del Consiglio dei ministri dedicato ai decreti correttivi del codice appalti. Il governo, ha spiegato il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, entrando al Mise per la trattativa su Alitalia, ha dato il primo via libera, decidendo di inserire nella manovrina da 3,4 miliardi le misure necessarie a sbloccare la partita.
A congelare finora l’operazione erano state formalmente due questioni tecniche. La prima relativa al contenzioso monstre tra l’Anas e le ditte appaltatrici di circa 10 miliardi, la seconda sull’autonomia finanziaria del gruppo, che permetterebbe al gestore delle strade di uscire dal perimetro della pubblica amministrazione. Su entrambi i fronti, però, a dimostrazione della natura politica dello stallo, le soluzioni sono sul tavolo dell’esecutivo da diversi mesi. Il contratto tra Anas e Stato con il corrispettivo di servizio e stato previsto addirittura dalla legge di stabilità del 2016 e secondo l’ad Gianni Armani era pronto per la firma già lo scorso ottobre. Quanto al contenzioso, la norma per esentare l’Anas dalla legge Madia e consentire alla società di usare i 700 milioni già accantonati nel bilancio per la liquidazione bonaria delle pendenze era stata inserita nelle bozze del ddl di bilancio 2017, ma è poi scomparsa dal testo finale.
La realtà è che la fusione è legata a doppio filo al percorso di privatizzazione a cui sta lavorando l’ad Renato Mazzoncini, un progetto su cui negli ultimi mesi il ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, ha progressivamente raffredato il suo entusiasmo. E che non sembra più essere una priorità neanche per Matteo Renzi. «Prima dobbiamo evitare le carrozze bestiame per i pendolari», ha detto l’ex premier qualche giorno fa a Porta a Porta. Tutto il dossier, insomma, si è impantanato nello scontro tra renziani e governo (col ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan convinto che si debba andare avanti a testa bassa sulle Fs in Borsa ma scettico sul fronte Anas) sulla opportunità politica di mettere sul mercato le partecipate pubbliche.
La frenata contenuta nel Def e la comparsa di un piano B per le dismissioni con l’intervento della Cdp non sembrano lasciare dubbi su chi abbia avuto la meglio. Questo, però, non ha impedito alla pratica Anas-Fs di andare avanti, probabilmente con un accordo politico su un piano in cui fusione e quotazione non procedano più in parallelo. Accordo che non era così scontato, visto che solo un paio di giorni fa, come denuncia il M5S, Delrio aveva risposto ad una interrogazione parlamentare sulla fusione ritenendo «prematuro esprimere dettagli in merito».
Sotto il profilo tecnico il conferimento dell’Anas avverrebbe con un aumento di capitale di Fs. Un modo per non variare il patrimonio dello Stato, che in questo modo si limiterebbe a sommare ai 38 miliardi circa delle Ferrovie i 2 miliardi del gestore stradale. L’Anas manterebbe la sua autonomia e, soprattutto, i rapporti concessori con lo Stato. La trasformazione in controllata delle Fs dovrebbe, però, permettere al gruppo di uscire finalmente dal perimetro della Pa, su cui sembra che il governo abbia già ottenuto rassicurazioni da parte di Eurostat.
© Libero