domenica 16 aprile 2017

Dopo i giudici tocca ai Democratici: chiuso il centro Eni di Viggiano

Ci risiamo. Dopo i giudici anche il Pd parte all’attacco degli impianti Eni della Basilicata. Ieri sera la giunta regionale guidata da Marcello Pittella (fratello dell’europarlamentare Gianni) ha deciso clamorosamente di sospendere le attività del Centro Oli di Viggiano (Potenza). Per l’impianto della Val d’Agri si tratta di una seconda mazzata, dopo quella arrivata poco più di un anno fa. Il 31 marzo del 2016, infatti, nell’ambito della cosiddetta indagine Tempa Rossa che, tra le altre cose, ha provocato la defenestrazione dell’allora ministro dello Sviluppo, Federica Guidi, la procura di Potenza aveva disposto il sequestro preventivo del centro di estrazione di petrolio, con il blocco della produzione. Lo stop si è protratto fino ad agosto, quando i magistrati hanno disposto il dissequestro sulla scorta di un indebolimento di tutto l’impianto accusatorio che, secondo alcune indiscrezioni, starebbe spingendo l’inchiesta verso l’archiviazione.

La storia, ora, si ripete. Ma a puntare il dito, questa volta sono i politici e non le toghe. L’accusa emersa nel tavolo urgente convocato presso la prefettura di potenza sarebbe la «scarsa diligenza e tempestività nelle azioni di controllo a seguito dell’incidente dello scorso gennaio, nell’area dinanzi il Centro Oli dell’Eni a Viaggiano, in Val d’Agri, con sversamento di greggio riscontrato nel pozzetto del consorzio industriale». Le indagini successive effettuate da un tecnico della provincia avrebbero rivelato la presenza di idrocarburi nei pressi di un’area di raccolta idrica molto vicina ad un affluente della Diga del Pertusillo.
E la Regione la scorsa settimana aveva chiesto all’Eni di intervenire sia per quell’inquinamento sia per bloccare tre dei quattro serbatoi all’interno del Centro Oli che non hanno doppio fondo. Ier, però, durante il vertice in prefettura è stata annunciata la «migrazione della contaminazione causata dallo sversamento dei serbatoi del Cova».

Pittella ha dunque «nuovamente diffidato l’Eni alla tempestiva ottemperanza delle prescrizioni (contenute nelle misure di emergenza) più volte intimate dal massimo Ente locale e volte a fermare l ’avanzamento della contaminazione», proseguendo «contestualmente con urgenza con le attività di caratterizzazione per una puntuale bonifica dell ’area».
Nel frattempo, però, gli impianti dovranno essere chiusi. Lo stop è stato decretato «a fronte delle inadempienze e dei ritardi della compagnia rispetto «alle prescrizioni regionali». Il provvedimento è stato immediatamente comunicato dal governatore piddino ai ministri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico, Gian Luca Galletti e Carlo Calenda.
Per l’Eni si prospetta un danno economico ingente, considerato che dal Centro Oli escono circa 75mila barili di greggio al giorno. Così come per i comuni dell’area, che tengono in piedi i bilanci grazie alle generose royalties pagate dalla compagnia. Per i circa 430 lavoratori dell’impianto si riapre un calvario già vissuto nell’aprile del 2016, quando Eni, dopo il blocco imposto dai magistrati, si è trovato costretto ad avviare le procedure per la cassa integrazione. E le ripercussioni si faranno sentire anche sui circa 3mila impiegati nelle aziende dell’indotto.

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