venerdì 14 aprile 2017

De Nicola: "Dopo Alitalia, tutte le imprese vorranno l'aiutino"

Bilanci in perdita, cattiva gestione manageriale, ingerenze della politica, sperpero di denaro pubblico, accanimento terapeutico. Per un liberista doc come Alessandro De Nicola, presidente della Adam Smith Society, il caso Alitalia rappresenta tutto quello che in economia non dovrebbe mai accadere. A partire dall’incapacità di imparare dai propri errori, visto che la soluzione a cui il governo sta pensando per evitare che le banche gettino la spugna e la compagnia sia costretta a portare i libri in tribunale è quella dell’ennesima iniezione di denaro pubblico.

Cosa ne pensa del prospettato nuovo coinvolgimento dello Stato, forse attraverso la controllata del Tesoro Invitalia, nel salvataggio di Alitalia?
«Come il metadone per i drogati. Non disintossica».
Alcuni sostengono che offrire una garanzia su un prestito e cosa ben diversa dall'entrare direttamente nel capitale. Crede che non ci siano rischi per le finanze pubbliche nell'operazione allo studio del governo?
«È certamente meno rischioso, ma si tratta semplicemente di un aiuto statale meno impegnativo, non ne cambia la natura».
Secondo i calcoli di Mediobanca la compagnia è già costata 7,4 miliardi ai contribuenti italiani, si è trattato di soldi ben spesi o di un inutile sperpero di denaro pubblico?
Sperpero. E se il primo tentativo tanti anni fa in un contesto in cui c’erano ancora le compagnie di bandiera aveva una flebile giustificazione (insufficiente, ma almeno plausibile), i successivi interventi sono stati sprechi e basta.
Alitalia attualmente ha 13mila dipendenti e trasporta 22 milioni di passeggeri l’anno, Ryanair ne ha 11mila e trasporta 100 mila passeggeri. Pensa sia ancora sostenibile il modello industriale della ex compagnia di bandiera?
«Lo sa benissimo anche Alitalia che non è sostenibile. Capisco tuttavia le difficoltà dell’attuale management nel ribaltare la situazione».
Nella storia della compagnia aerea che ha portato fino alla situazione odierna ritiene siano stati fatti più errori politici o industriali?
«Una bella lotta; a volte però gli errori industriali sono stati determinati da ingerenze politiche o da una sudditanza psicologica verso la politica».
Cosa comporta per il sistema industriale italiano l’esempio di un’azienda su cui la politica continua a creare un cordone sanitario ogni volta che si presenta un problema?
«Invidia per gli esclusi dall’aiutino che a loro volta si ritengono in diritto di tentarci anche loro, invidia che si tramuta in rabbia per la mancanza di un servizio all’altezza. Provi ad andare a San Francisco da Milano»
Le sembra normale tenere in vita un’azienda che ha i bilanci in rosso da circa 20 anni?
«No».
Nel 2008, quando l’allora azionista govero si trovò di fronte all’alternativa, sarebbe stato meglio far fallire la compagnia o cederla agli stranieri?
«Stranieri, perbacco. Se si può evitare un fallimento è sempre meglio. I fallimenti distruggono valore; i salvataggi irragionevoli ne distruggono di più e comunque lo Stato non è in grado di capire cos’è ragionevole».

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