giovedì 6 ottobre 2016

Calenda e Padoan ministri gufi: "Crollerà il commercio globale".

Il commercio crolla, il debito esplode, il pil non cresce e le banche saltano. Se non è l’apocalisse, poco ci manca. A pochi giorni dalla definizione della legge di Bilancio, le istituzioni lanciano l’allarme rosso sull’economia. Secondo Carlo Calenda, che a sorpresa si schiera con i «gufi» spesso citati da Matteo Renzi, il prossimo anno il commercio internazionale subirà un vero e proprio «crollo globale». Il problema, ha sottolineato il ministro dello Sviluppo nel corso del convegno “Obbligati a crescere” organizzato dal Messaggero, è che «non c’è più una sede in cui si discute, il Wto non va, non ci sono più luoghi dove si fa governance». Sull’accordo commerciale Ttip Calenda è moderatamente ottimista. La trattativa Usa-Ue sarà probabilmente ridimensionata, ma «non chiuderà, ci sarà una convergenza sugli standard che condividiamo».

Le difficoltà dell’economia mondiale emergono con forza anche dalle stime contenute nel Global Financial Stability Report del Fondo monetario internazionale, secondo cui, ad otto anni dall’inizio della crisi finanziaria, il debito planetario ha raggiunto la quota monstre di 152mila miliardi di dollari, due volte (il 225%) il pil mondiale. A preoccupare è soprattutto la composizione del rosso, formato per due terzi da debito privato di famiglie e società non finanziarie. Questo, spiega l’Fmi, «è un rischio per la stabilità finanziaria e rappresenta il maggior vento contrario alla ripresa economica mondiale».

Nulla di buono arriva dal capitolo sull’Italia, che sta proseguendo il suo risanamento, ma a passo di lumaca. La discesa del debito è slittata al 2018 (rispetto al 2017 stimato lo scorso aprile), quando dovrebbe attestarsi al 132% del pil. Quest’anno (133,2%) e il prossimo (133,4%), invece, l’asticella continuerà a salire. In leggero calo il deficit/pil (dal 2,6% del 2015 al 2,5 di quest’anno fino al 2,2 del 2017) che però si avvicinerà allo zero (0,1%) solo nel 2020 e non, come era stato stimato lo scorso aprile, nel 2018. Molto graduale anche la diminuzione della pressione fiscale (dal 47,9% del 2015 al 47,3% di quest’anno fino al 46 e 45,8% nei due anni successivi) e della spesa pubblica, che dal 50,5% del 2015 scenderà al 48,2% il prossimo anno. Quanto alle banche, si legge nel documento dell’Fmi, «gli sforzi del governo per facilitare l’acquisizione dei crediti cattivi potrebbero non essere sufficienti a ridurli con la quantità e velocità necessarie a rafforzare il sistema bancario».

In questo scenario catastrofico il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha ammesso le difficoltà, soprattutto nel commercio, che ha «una paurosa inversione di tendenza», ma ha confermato le stime (in contrasto con quelle di tutti i principali organismi economici) della nota di aggiornamento del Def. Sono numeri, ha spiegato, «basati su una valutazione attenta degli impatti, non su fantasia, né su aspettative irrealizzabili». Ieri, però, l’Istat ha ribadito nella sua nota mensile il quadro «di persistente debolezza dei livelli di attività economica», sottolineando che a settembre la fiducia dei consumatori ha segnato la seconda flessione consecutiva. In leggero miglioramento, invece, le aspettative delle imprese, che non sono comunque andate oltre i livelli dello scorso giugno. La situazione, al di là di qualche impercettibile variazione decimale col segno più, è quella di una complessiva stagnazione, come dimostra la crescita zero del pil nel secondo trimestre del 2016.
Le prospettive di un ulteriore rallentamento dell’economia stanno rendendo difficoltosi i primi passi parlamentari del Def, che si è impantanato sulla mancata validazione delle stime da parte dell’authority di controllo Upb. Oggi il Mef, su richiesta della commissione Bilancio della Camera, fornirà alcuni chiarimenti. E martedì prossimo saranno ascoltati sia l’Upb sia Padoan. Non si esclude qualche limatura delle previsioni troppo ottimistiche. Cosa che agevolerebbe anche la trattativa con Bruxelles.

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