La sovrattassa che alcune banche hanno deciso di far pagare ai correntisti per rientrare dei costi sostenuti (1,8 miliardi complessivi) per il salvataggio dei quattro istituti in default (Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Carife) ha creato indignazione nell’opinione pubblica e allarme in Bankitalia, che ha deciso di avviare un monitoraggio sui comportamenti dei principali istituti.
Ma a ben guardare i 25 euro caricati una tantum dal Banco Popolare, i 12 euro di aumento del canone di Ubi e gli incrementi più o meno visibili disposti da altri grandi istituti non sono che la ciliegina sulla torta di un sistema che da anni spreme i clienti senza troppi scrupoli.
Negli ultimi 7 anni, sostanzialmente dall’inizio della crisi nel 2008, la crescita dei costi dei conti correnti, delle carte di credito e degli altri servizi bancari ha subito in Italia un incremento del 20%. Per evere un’idea dell’andamento «normale» degli oneri a carico dei clienti, nello stesso periodo, secondo quanto calcolato dalla Cgia di Mestre, l’aumento si è fermato all’11,5% nel Regno Unito, all’11,1% in Francia, al 6,5% in Spagna. Mentre in Germania (-4,6%), in Belgio (-7%) e nei Paesi Bassi (-27%) si è addirittura registrata una diminuzione dei costi.
Il risultato è che il nostro Paese nel 2015 ha ottenuto il triste primato delle commissioni più alte d’Europa. Dal dossier messo a punto dall’ufficio studi degli artigiani di Mestre emerge che l’incidenza percentuale dei costi netti dei servizi bancari sui ricavi ha raggiunto in Italia il 36,5%, il livello più elevato del Vecchio continente. In Francia la quota si è attestata al 32,9%, in Austria al 27,5%, in Germania al 26,2% e nei Paesi Bassi al 17%.
«Con la crisi economica - ha spiegato il coordinatore dell’ufficio studi Paolo Zabeo - sono cresciute a dismisura le sofferenze in capo alla clientela e la contrazione dei tassi di interesse ha ridotto ai minimi termini i margini di redditività. E le nostre banche, appesantite da costi fissi ancora troppo elevati, hanno ritenuto più conveniente ridurre gli impieghi, e quindi i rischi, e aumentare i ricavi dalle commissioni». I numeri parlano chiaro. Dal 2008 a fronte di una diminuzione dei prestiti di 13 miliardi (-25,3%) i ricavi netti dei costi dei servizi sono aumentati di 4,9 miliardi (+20%). Il giochino, nel solo 2015, ha permesso a gli istituti italiani complessivamente di mettere a bilancio alla voce commissioni circa 30 miliardi di euro.
Sui costi eccessivi dei conti correnti italiani qualche anno fa aveva aperto un dossier anche la Commissione europa. Secondo le rilevazioni effettuate nel 2013 dal commissario per i mercati finanziari Michel Barnier in Italia mantenere un rapporto finanziario costava 191 euro l’anno contro una media Ue di 137. Accuse respinte dall’Abi, secondo cui le rilevazioni si basano non sui costi medi ma su quelli massimi previsti dai contratti. Mentre per l’Adusbef, che definisce il nostro sistema il «meno concorrenziale del Continente», il conto sarebbe ancora più salato, con un costo medio di 318 euro rispetto ai 114 delle banche europee.
Certo, per il cliente tartassato c’è sempre l’alternativa dei conti online, che, abbattendo i costi di intermediazione, riescono ad offrire costi molto vantaggiosi o addirittura azzerati per le operazioni di base. Ma se è vero che ormai il 50% dei correntisti utilizza i servizi di home banking, l’agenzia bancaria, secondo quanto emerso da un’indagine condotta dalla stessa Abi in collaborazione con Gfk-Eurisko, resta un punto di riferimento importante per l’85% dei clienti.
E allo sportello i costi si sentono. Secondo una rilevazione effettuata dal Corriere Economia sulle dieci principali banche italiane, nel primo semestre del 2016 la spesa media annua di una famiglia con uso medio della banca si attesta a 135 euro, con picchi di 170 euro. Si tratta di un incremento del 6% rispetto allo scorso anno. Cercando di contenere le spese con l’utilizzo dei servizi via web, la spesa media annua si aggira, invece, sui 105 euro. Ma anche in questo caso c’è un aumento del 6% rispetto al 2015.
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