martedì 18 ottobre 2016

Equitalia insabbia i crediti non riscossi

Equitalia non riesce ad incassare una multa non pagata? Il comune lo saprà tra 30 anni. Può sembrare incredibile, ma è in questo modo che la società di riscossione gestisce i suoi crediti. Il folle meccanismo burocratico, che neanche Kafka sarebbe stato capace di immaginare, ha fatto lievitare negli anni in maniera mostruosa lo stock di cartelle inevase (circa 800 miliardi) ancora in pancia ad Equitalia. Ed è uno dei motivi che ha spinto Matteo Renzi a mettere mano al settore fiscale attraverso una sanatoria che, oltre a portare un po’ di risorse in cassa, serivirà anche a smaltire una parte consistente degli arretrati.

A puntare il dito sull’anomalia italiana sono stati nei mesi scorsi sia l’Fmi sia l’Ocse nei due rapporti spediti al Tesoro che hanno di fatto innescato la riforma del settore. L’Ocse, in particolare, fa notare che «nel 2013 il rapporto tra crediti tributari e il totale delle entrate nette riscosse è pari al 5,7% in Australia, 7,7% in Francia, 2,6% nel Regno Unito, 8,7% negli Stati Uniti», mentre in Italia lo stesso rapporto è addirittura al 190,8%. Il problema, scrive l’Ocse, è che «i crediti fiscali non vengono sistematicamente stralciati». Anzi. Una volta che il credito è considerato inesigibile, si legge nel rapporto, «Equitalia è obbligata ad informare l’ente creditore. Tuttavia tale rendicontazione non è stata condotta in Italia negli ultimi 15 anni». Se la società di riscossione fosse una banca, sarebbe già scattato il bail in. Invece Equitalia si tiene tranquillamente in carico centinaia di miliardi di crediti deteriorati senza che nessuno si preoccupi. Per Equitalia è solo un problema di burocrazia. «Si tratta di somme che in base ad un elementare buon senso dovrebbero essere cancellate», ha spiegato l’ad Ernesto Maria Ruffini, «ma la procedura di cancellazione è tutt’altro che semplice. L’agente della riscossione deve infatti chiedere all’ente creditore il discarico delle partite non riscosse mediante una comunicazione di inesigibilità, con cui dimostra che l’attività di recupero è stata comunque svolta nel rispetto della legge». A quel punto il creditore può accettare la versione di Equitalia o contestarla. Solo alla fine di questo iter Equitalia puà restituire i crediti agli enti impositori(Agenzia delle entrate, Inps, Inail ed enti territoriali), «che procedono alla cancellazione degli stessi dai propri bilanci. Ed ecco il motivo vero. Una volta dichiarate ufficialmente sofferenze, quelle partite incagliate smettono di essere entrate e devono essere contabilizzate come perdite. Una prospettiva poco piacevole per gli enti e, soprattutto, per lo Stato, che non a caso ha prorogato anno dopo la scadenza dei termini di presentazione delle comunicazioni che secondo una legge del 1999 dovrebbe avvenire al terzo anno successivo alla consegna del ruolo. Nel frattempo, per tenere in vita le cartelle esattoriali Equitalia, con quello che Ruffini definisce un «effetto perverso», ha emesso «un ingente volume di avvisi di intimazione allo scopo di interrompere la prescrizione».

In questo modo la montagna di cartelle arretrate è diventata così grande che il suo smaltimento, ha spiegato l’ad, «imporrebbe agli uffici degli enti impositori di abbandonare ogni attività ordinaria per dedicarsi all’esame delle partite inesigibili». Si arriva così alla trovata di Renzi, inserita nella legge di stabilità del 2015: iniziare a comunicare le sofferenze, ma a passo di gambero, partendo dalle più recenti fino alle più vecchie. Il risultato è grottesco: gli incagli del 2013 dovranno essere comunicati entro il 2018, quelli del 2000, tenetevi forte, entro il 31 dicembre 2031.
In questo scenario, la sanatoria diventa praticamente una strada obbligata. Ma è difficile pensare che possa risolvere il problema. Anche perché secondo gli organismi internazionali l’anomalia è rimasta. Scrive l’Fmi: «Non si rilevano, in atto, efficaci disposizioni di cancellazione». Il Fondo è stato informato che l’Agenzia delle entrate «esaminerà le cancellazioni su base annuale, che rappresenta un significativo passo in avanti». Ma, si legge nel dossier, in assenza di una sostanziale modifica delle procedure che facilitino la cancellazione dei crediti «è improbabile che questa nuova procedura sia in grado di soddisfare le esigenze di cancellazione associate all’enorme stock di arretrati non riscuotibili».

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