Ma Matteo Renzi ha assicurato che tutti i punti citati sono all’esame dei tecnici che in queste ore stanno limando il testo della legge di bilancio. «Bisogno e merito», che «non è una parolaccia», ha chiosato il premier. Sono queste le due parole chiave della manovra, che conterrà innanzitutto lo sblocco del turnover (attualmente al 25%) per alcune categorie del pubblico impiego. «Ci sarà una segnale», ha spiegato, «possiamo immaginare di avere almeno per le forze dell’ordine, gli infermieri e, forse, i dottori, 10mila unità per poter bandire subito i posti». Purché si rottami la filosofia «checcozaloniana». Quanto alla sanità, «nessun taglio, anzi più soldi».
E altri soldi in arrivo sono quelli promessi dal sottosegretario Tommaso Nannicini, che in un’intervista ha anticipato qualche cifra sulle pensioni: «Tra i 330 euro di quattordicesima per i pensionati fino a 1.000 euro, tra i 100 e i 150 euro di aumento per chi già la percepisce. Un costo per l’Ape tra il 4,5% e il 5% per ogni anno di anticipo».
Poi, ha proseguito Renzi, ci sarà il rinnovo dei contratti degli statali e «un intervento importante per l’abolizione di Equitalia e la creazione di un modello diverso di agenzia». Due questioni, quest’ultime, molto più spinose di quanto il premier lasci intendere. Sul fronte del pubblico impiego è in atto da mesi un braccio di ferro serrato tra i sindacati e governo, che per ora non è riuscito a mettere sul tavolo più di 900 milioni. Cifra considerata assolutamente troppo esigua dai rappresentanti dei lavoratori. Che ieri hanno anche rilanciato chiedendo la stabilizzazione di circa 80mila precari da qui al 2018. La soluzione a cui sta lavorando l’Aran, l’organismo che rappresenta la Pa nelle trattative, è quella di uno scambio tra risorse e regole. Ovvero la firma dei contratti con gli aumenti ridotti al lumicino a fronte di un ripensamento della legge Brunetta sul salario accessorio.
Le norme messe a punto dall’ex ministro della Funzione pubblica prevedono lo stop dei premi a pioggia, attraverso una divisione in fasce della retribuzione di risultato. Il 100% del premio per il 25% dei lavoratori più produttivi. Incentivo dimezzato per il 50% della fascia intermedia e niente per il 25% che finisce in fondo alla classifica. Dinamica assai indigesta ai sindacati, che sarebbero invece disposti ad accettare un allargamento della prima fascia che si becca il premio intero, lasciando la possibilità per la contrattazione di definire la distribuzione delle restanti quote di premi, nel tentativo di non lasciare nessuno a bocca asciutta. Si tratterebbe di fatto della cancellazione delle griglie rigide previste da Renato Brunetta. Con tanti saluti a Checco Zalone e al merito anche ieri sbandierato da Renzi.
Non meno complicata la situazione alle Entrate, dove nelle scorse settimane una raffica di sentenze di Tar e Consiglio di Stato ha fatto a pezzi i tentativi di riesumare alcuni vecchi concorsi per tappare il buco nella dirigenza creato nel 2015 dalla sentenza della Consulta sui 767 incarichi illegittimi. Ora la situazione è prossima al disastro. Nell’estate del 2015 il governo aveva autorizzato l’Agenzia a tamponare gli ammanchi con posizioni organizzative speciali (circa 190) e temporanee (circa 400). Quest’ultime, però, scadono il 31 dicembre, scadenza entro il quale la legge imponeva il bando di un nuovo concorso. Cassati i concorsi, resta il buco. La sinistra Pd, da sempre vicina alle agenzie fiscali, è da settimane in pressing e ieri, per bocca della senatrice Maria Cecilia Guerra ha minacciato lotta dura in aula se non arriverà una sanatoria per via legislativa. Ma la materia non è da legge di bilancio. Così si sta valutando l’ipotesi di una riapertura della delega fiscale nel collegato alla manovra. Sede che potrebbe ospitare la riorganizzazione complessiva di Equitalia e Agenzia delle Entrate annunciata da Renzi.