mercoledì 23 marzo 2016

La giungla dei bonus fiscali cresce fino a 313 miliardi

Un quadro fiscale disordinato e incoerente, dove l’unica certezza è che il peso delle tasse è troppo alto. Nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica presentato ieri al Senato la Corte dei Conti punta il dito sulle rigidità del nostro sistema tributario, che si sta progressivamente ritagliando il ruolo di peggiore d’Europa. Ampie e diffuse, secondo la magistratura contabile, «le performance da cui il nostro Paese intende affrancarsi». L’Italia è nei posti alti della classifica del Vecchio Continente su quasi tutte le voci: quinta per pressione fiscale complessiva e per incidenza dell’Irpef sul reddito medio, quarta per l’entità del cuneo fiscale, terza per la tassazione dei redditi d’impresa e seconda per la pressione fiscale sui redditi da lavoro.

L’unico terreno su cui i balzelli sono più bassi degli altri è la tassazione dei consumi, dove l’Italia è 22esima su 28 Paesi considerati. Ed è proprio qui, secondo la Corte dei Conti, che ci sarebbe spazio per ulteriori interventi, anche sfruttando le clausole di salvaguardia già incardinate dalle precedenti manovre, che prevedono aumenti dell’imposizione indiretta per circa 45 miliardi dal 2017 al 2019. Uno scenario catastrofico per i contribuenti, che il governo per ora smentisce. «Con tutto il rispetto per la Corte dei Conti non aumenteremo l’Iva», ha assicurato il consigliere economico del premier, Yoram Gutgeld.
L’altro capitolo legato alle clausole di salvaguardia è quella delle cosiddette tax expenditures. La revisione degli sconti fiscali, che di tanto in tanto rispunta nei piani del governo, era stata prevista dalla legge di stabilità per il 2014 e disattivata, attraverso la neutralizzazione delle clausole, dalle successive manovre per il 2015 e per il 2016. Il bello è che a fronte di continui annunci di razionalizzazione del sistema di agevolazioni e detrazioni, l’ultimo arrivato in occasione del recente varo da parte del governo del piano di contrasto alla povertà in cui si è ipotizzato di legare gli sconti all’Isee, i bonus fiscali non solo non sono stati limati e armonizzati, ma sono addirittura aumentati nel numero e nell’entità. Secondo le stime formulate nel 2011 dalla commissione istituita dall’allora ministro Tremonti per calcolare il livello dell’erosione fiscale, le tax expenditures contavano oltre 700 regimi agevolativi per un impatto sul gettito di oltre 250 miliardi, una cifra pari quasi ad un terzo delle entrate complessive della Pa.

Ed ecco la lievitazione. Essendo state introdotte nuove agevolazioni, scrive la Corte dei Conti, «senza averne contestualmente abolite, ridotte o riviste altre non più rispondenti alle esigenze dalle quali erano state dettate», all’inizio del 2016 il nostro sistema tributario si trova a dover convivere con ben 799 eccezioni che costano allo Stato la rinuncia ad un gettito potenziale di 313,1 miliardi. Un livello che ci pone al secondo posto nel ranking internazione dell’erosione del sistema fiscale. Si tratta, secondo la magistratura contabile, di un fenomeno che provoca «una significativa riduzione dell’area di azione dei margini di manovra della politica fiscale» che «finisce per compromettere non solo le potenzialità di gettito ma anche l’efficacia redistributiva».
Sullo sfondo del caos tributario resta una pressione fiscale che alla fine del 2015 è stata del 43,3%, «tre punti superiore al livello di inizio secolo e quattro punti oltre quello medio Ue». Un livello che lascia ben pochi margini per tagliare gli sconti. Anche perché l’Italia è sull’orlo della procedura d’infrazione Ue. Secondo la Corte, infatti, una crescita inferiore alle attese e un programma di privatizzazioni al di sotto del target, ipotesi entrambi molto concrete, comprometterebbero il sentiero di riduzione del debito previsto dal fiscal compact.

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