giovedì 3 marzo 2016

Il piano Nannicini: quanto perderemo sulla pensione

Del piano per finanziare le nuove assunzioni a tempo indeterminato con il taglio di 6 punti complessivi di contribuzione (tra datore e lavoratore) a Palazzo Chigi nessuno ha voglia di parlare. Interpellato ieri da Libero in merito alla percorribilità dell’ipotesi, il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha risposto che «si possono commentare solo le proposte reali, e al momento non risulta alcuna proposta sulla decontribuzione».

A confermare l’esistenza del progetto è stato però, solo qualche giorno fa, lo stesso Tommaso Nannicini, che la scorsa estate aveva illustrato nel dettaglio la proposta. In un’intervista televisiva al CorriereLive il professore della Bocconi, prima consigliere di Matteo Renzi ed oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio con l’incarico di coordinare una task force che seguirà tutti i dossier economici del governo, ha detto chiaramente che, dopo gli sgravi, «si apre la partita del taglio strutturale del nucleo contributivo per il lavoro a tempo indeterminato».
Per valutare gli effetti della proposta a cui sta lavorando il sottosegretario abbiamo chiesto alcune simulazioni ad Antonietta Mundo, che di pensioni e numeri se ne intende, forse, più di ogni altro. Fino a due anni fa, infatti, faceva capo a lei tutto il Servizio statistico attuariale dell’Inps, proprio quello incaricato di proiettare le cifre del presente sui decenni a venire. È ai suoi calcoli, tanto per fare un esempio, che si deve la valutazione degli 80 miliardi di risparmi di spesa pensionistica dal 2012 al 2021 scaturiti dalla riforma Fornero. Così come successivamente certificato dalla Ragioneria dello Stato.

La dottoressa Mundo ci tiene a precisare che le variabili in campo sono molte e che i risultati delle proiezioni vanno considerati come valori indicativi, soggetti a possibili oscillazioni. Ma anche ipotizzando eventuali scostamenti, l’esito delle simulazioni non lascia molti dubbi sulla bordata che si abbatterebbe sui futuri pensionati diminuendo la contribuzione dal 33 al 27%. Il modello base realizzato dall’ex coordinatrice del Servizio statistico attuariale dell’Inps considera una crescita retributiva nel tempo dell’1% e due rivalutazioni del montante contributivo in base all’andamento del pil dello 0,5 e dell’1%.
Ebbene nel primo caso con una retribuzione attuale di 1.500 euro lordi, l’assegno previdenziale al 2057, a 70 anni di età e 40 di anzianità contributiva (ipotizzando quindi una pensione di vecchiaia), subirà un taglio di 1.873 euro lordi all’anno. Decurtazione che salirà a 3.121 per un salario di 2.500 lordi e a 4.370 per 3.500 euro lordi annui. Nel secondo caso (andamento del pil all’1%) la perdita sale rispettivamente a 3.065, 3.441 e 4.818 euro. Si tratta di flessioni percentuali dell’assegno previdenziale che si aggirano intorno al 18%. Insomma, un  vero e proprio salasso.

Al di là del rischio concreto di «creare nuovi poveri» per la Mundo il piano ha un problema di fondo: «È l’ennesima operazione ispirata ad una logica di breve respiro, per affrontare l’emergenza, mentre la previdenza è una materia su cui bisogna intervenire con visioni di lungo periodo».
Per essere più chiari, la mossa potrebbe rivelarsi il più classico dei boomerang. Sul presente, spiega, «il primo effetto sarà quello di alimentare ulteriormente il panico tra i pensionati, che tra l’altro sono una delle categorie che traina principalmente i consumi e opera una redistribuzione dei redditi attraverso il cosiddetto welfare familiare per sostenere i giovani soffocati da una disoccupazione tra i 15 e i 24 anni che è balzata lo scorso gennaio al 39,3%».
Togliere 6 punti di contribuzione dalla massa dei salari del lavoro dipendente, spiega la Mundo, «significa creare un buco di diversi miliardi nelle casse dell’Inps. Ed essendo il nostro un sistema a ripartizione, dove le pensioni attuali si pagano con i contributi dei lavoratori, è chiaro che qualche problema ci sarà».

Nel lungo periodo, poi, la prospettiva è completamente sbagliata, perché oltre ad assottigliare le pensioni di domani, costringerà i futuri governi a rialzare pesantemente le aliquote dei versamenti da parte dei lavoratori per far tornare i conti. «La sostenibilità del sistema previdenziale», dice la ex coordinatrice del Servizio statistico attuariale dell’Inps, «si basa su una aliquota di equilibrio, che è un indicatore dove al numeratore troviamo il numero di pensionati per la pensione media e al denominatore il numero di occupati per la retribuzione media».
Per tenere in piedi la macchina i governi negli ultimi anni «hanno lavorato parecchio sul numeratore, dimuendo sia i pensionati (alzando l’eta) sia gli assegni (bloccando la perequazione)». Ora se non si vuole far schizzare l’aliquota di equilibrio verso l’alto, con il conseguente aumento degli obblighi contributivi per i lavoratori, «bisognerà intervenire seriamente sul denominatore».
Da una parte si dovrà intervenire sulle dinamiche salariali, ma dall’altra l’emergenza è quella degli occupati. Che sono destinati a calare, secondo la Mundo, non solo per la crisi, ma anche per le dinamiche legate al decremento demografico. Il tasso di natalità italiano è «agli ultimi posti delle graduatorie mondiali con l’8,3 per mille nel 2014. Se non iniziamo da subito a preoccuparci tra un po’ rischiamo di non avere più fisicamente gli occupati necessari a sostenere con i contributi il pagamento delle pensioni».

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