Anche qui i circa 90mila soci hanno visto sparire dalle proprie mani circa l' 80% dei propri risparmi, con titoli svalutati dell' 80%, dai 39,5 euro del 2014 ai 30,5 del 2015 fino ai 7,3 di oggi. Certo, si potrebbe pensare che ai risparmiatori di Pop Vicenza e Veneto Banca sia andata meglio che a quelli che avevano riposto la loro fiducia in Banca Etruria, Banca Marche, Carife e CariChieti. Con il «salvataggio» delle quattro banche andate in default messo in pista dal governo non solo tutti i titoli sono stati azzerati, mandando a gambe all' aria circa 105mila piccoli azionisti con 2 miliardi di capitale investito, ma sono andati in fumo anche circa 800 milioni di obbligazioni. Di cui 329 milioni in mano a 10.559 piccoli risparmiatori a cui ora il governo a promesso ipotetici, quanto fumosi e illusori, risarcimenti (sul piatto ci sono complessivamente solo 100 milioni di euro).
Poche centinaia di migliaia di sfortunati? Forse. Ma l' esercito di risparmiatori stritolati dagli sconquassi del sistema bancario potrebbe presto ingrossare le sue file. All' orizzonte, ovviamente, non c' è alcun crac annunciato. Ma di increspature nell' acqua se ne vedono tante. Qualche mese fa, ad esempio la società di consulenza Consultique, ha acceso un faro sulle azioni non quotate. Quelle, tanto per capire, che sembrano floride fino al giorno in cui non arriva il momento di fare i conti con il mercato. Ebbene in Italia di titoli autovalutati dagli amministratori ce ne sono in circolazione per 16 miliardi di euro. Di queste 3,7 miliardi erano quelle di Pop Vicenza, 2,9 quelle di Veneto Banca. E sappiamo come è andata a finire. Altri 1,3 miliardi sono della Popolare di Bari, anch' essa proiettata verso la quotazione dalla riforma di Renzi. Altri 771 milioni sono in pancia alla Cassa di risparmio di Asti, 600 milioni al gruppo Banca Sella e 500 milioni alla Cassa di risparmio di Bolzano. I restanti 6,2 miliardi sono invece parcellizzati in altri 14 istituti di credito locali. Quelli piccoli, dove famiglie e imprese spesso vengono invitate a sottoscrivere investimenti azionari per «favorire» l' erogazione di prestiti e mutui.
Un altro elemento di preoccupazione riguarda i prestiti deteriorati. E qui, al di là dei grandi numeri che riguardano le big del credito e la fetta più consistente dei 200 miliardi di sofferenze italiane, ci sono molte situazioni al limite della sostenibilità nelle realtà territoriali di minori dimensioni. In particolare tra quelle Bcc su cui il governo ha deciso da poco di mettere un altro zampino. Nella lista delle banche con crediti deteriorati superiore al 20% del totale (che è la media italiana) ci sono ad eesempio la Cassa rurare e Artigiana di Camerano (37,9%), la Cassa rurale di Pinzolo (26,3%), la Cassa rurale di Mori (26,2%) o la Banca di Pistoia (27,7%). Tutti istituti a cui il nuovo strumento di garanzia pubblica prediposto dal governo per smaltire le sofferenze servirà a ben poco.
Ma a vacillare ci sono anche le grandi banche. In particolare quelle finite nel mirino degli stress test della Bce lo scorso autunno. A partire da Carige ed Mps, che negli ultimi mesi hanno dimezzato il valore dei loro titoli in Borsa. Per la prima venerdì è arrivata l' ennesima doccia gelata della Bce, che ha chiesto un nuovo piano industriale, costringendo il gruppo ad ulteriori svalutazioni. Risultato: le perdite del 2015 sono schizzate da 44,6 a 101,7 milioni.
Resta appesa ad un filo la sorte di Mps, che dopo le bufere giudiziarie, gli aumenti di capitale e i prestiti dello Stato ancora non riesce a trovare un partner e continua ad assere presa d' assalto dagli speculatori. Al punto che, per evitare il peggio, si sta valutando un clamoroso intervento della Cdp. Non vanno meglio, infine, le cose dalle parti di Bpm e Banco popolare.
Sembravano involati verso le nozze, ma la Bce ha chiesto più garanzie e più soldi, mettendo a rischio l'unico matrimonio in vista di quello che da almeno un anno si dipingeva come il grande risiko bancario.