L'operazione ruota tutta intorno ai «contractual arrangements», o contratti di stabilità come qualcuno li chiama. Il modello da seguire è quello del Fondo monetario internazionale, che vincola l'erogazione dei fondi ad un patto concreto (stand-by arrangement) siglato con il Paese in difficoltà. L'idea della Merkel è che il meccanismo debba prevedere una cessione consistente di sovranità economica che permetta alla Commissione di obbligare gli Stati membri a varare quelle riforme che ora può solo suggerire. Secondo la stampa tedesca la cancelliera, che ha ottenuto l'inserimento dei «contratti» nel testo finale del consiglio Ue di ottobre, avrebbe già preparato una bozza di modifica dei trattati per inserire le nuove regole di controllo comunitarie sulla politica economica e di bilancio dei Paesi dell'Eurozona. L'obiettivo è dare alla commissione la possibilità di sottoscrivere «una sorta di contratto per l'aumento della competitività, il controllo degli investimenti e della disciplina di bilancio». Il patto avrebbe termini e obiettivi specifici, da sottoporre a verifiche periodiche. L'ideale, secondo Berlino, sarebbe quella di arrivare addirittura ad un rafforzamento dei poteri del presidente dell'Eurogruppo, che diventerebbe di fatto un ministro delle Finanze Ue. In cambio del commissariamento la Merkel sarebbe disposta a concedere l'accesso a specifici fondi comunitari, da prelevare dall'extra budget già presente nel bilancio europeo. Catene in cambio di soldi, appunto.
Ma dei contratti di stabilità, se mai è possibile, esiste anche una versione ancora più rigorista. A caldeggiarla è il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, che in luogo del denaro, considerato una sorta di premio, sarebbe disposto a concedere ai Paesi finiti nel mirino della commissione solo un po' di tempo in più. «Se un Paese porta avanti riforme cruciali», è l'idea del ministro delle Finanze olandese, «può essere rinviata la scadenza degli obiettivi fiscali». Ma l'allentamento degli obiettivi e il completamento delle riforme devono essere legati in modo «concreto».
Il principio di fondo, comune ad entrambe le versioni è che, per evitare futuri deragliamenti dal rispetto dei parametri, sia necessario sostituire l'attuale sistema sanzionatorio (che punisce solo in seguito ad una violazione) con un meccanismo preventivo, che dia a Bruxelles il potere di stabilire gli obiettivi e di indicare anche i mezzi per raggiungerli. Come ha spiegato efficacemente il think tank britannico Open Europe, lo scopo è quello di trasformare la Commissione Ue in una sorta di «polizia per le riforme strutturali». In pratica, l'Eurogruppo scriverà le nostre manovre finanziarie. L'ipotesi è considerata devastante da molti politologi ed economisti. Ma c'è anche a chi piace. Ieri Marcello Messori sul Corriere della Sera spiegava che «tali accordi implicano cessioni di sovranità nazionale nelle politiche macroeconomiche e fiscali, rischiando così di rendere ancora più rigidi i vincoli esterni», ma «offrono la possibilità a Paesi responsabili di graduare gli aggiustamenti e di allentare altre richieste europee». La sensazione, considerato lo scarso peso finora dato ai «contratti», è che il governo non sia così lontano da questa linea. E che al Consiglio Ue del 20 dicembre, Enrico Letta si limiterà a tentare di portare a casa qualche concessione in cambio del via libera alla riforma dei trattati.
© Libero
Ma dei contratti di stabilità, se mai è possibile, esiste anche una versione ancora più rigorista. A caldeggiarla è il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, che in luogo del denaro, considerato una sorta di premio, sarebbe disposto a concedere ai Paesi finiti nel mirino della commissione solo un po' di tempo in più. «Se un Paese porta avanti riforme cruciali», è l'idea del ministro delle Finanze olandese, «può essere rinviata la scadenza degli obiettivi fiscali». Ma l'allentamento degli obiettivi e il completamento delle riforme devono essere legati in modo «concreto».
Il principio di fondo, comune ad entrambe le versioni è che, per evitare futuri deragliamenti dal rispetto dei parametri, sia necessario sostituire l'attuale sistema sanzionatorio (che punisce solo in seguito ad una violazione) con un meccanismo preventivo, che dia a Bruxelles il potere di stabilire gli obiettivi e di indicare anche i mezzi per raggiungerli. Come ha spiegato efficacemente il think tank britannico Open Europe, lo scopo è quello di trasformare la Commissione Ue in una sorta di «polizia per le riforme strutturali». In pratica, l'Eurogruppo scriverà le nostre manovre finanziarie. L'ipotesi è considerata devastante da molti politologi ed economisti. Ma c'è anche a chi piace. Ieri Marcello Messori sul Corriere della Sera spiegava che «tali accordi implicano cessioni di sovranità nazionale nelle politiche macroeconomiche e fiscali, rischiando così di rendere ancora più rigidi i vincoli esterni», ma «offrono la possibilità a Paesi responsabili di graduare gli aggiustamenti e di allentare altre richieste europee». La sensazione, considerato lo scarso peso finora dato ai «contratti», è che il governo non sia così lontano da questa linea. E che al Consiglio Ue del 20 dicembre, Enrico Letta si limiterà a tentare di portare a casa qualche concessione in cambio del via libera alla riforma dei trattati.
© Libero