domenica 29 dicembre 2013

Imu, fumo, famiglie: un'altra finanziaria

Invece di contenere le opportune correzioni di rotta per evitare l’ennesima stangata di circa un miliardo che nelle prossime settimane si abbatterà sulla testa dei contribuenti, il governo Letta ha pensato bene di utilizzare il decreto di fine anno, tradizionalmente dedicato alla proroga dei termini per alcune misure in scadenza al 31 dicembre, per infilare qua e là qualche nuova tassa.

La prima, clamorosa, riguarda l’aumento delle accise sulle sigarette. Il rincaro delle bionde per il 2014 era in realtà già previsto dalla legge di stabilità, con aumenti programmati fino al 2016. In zona Cesarini, però, un emendamento del governo al provvedimento aveva stabilito che per alzare il peso del fisco sui tabacchi c’era tempo fino al 2015. Mossa che avrebbe comportato minori entrate nel 2014 per 50 milioni di euro.
Dove sono stati recuperati quei soldi? Probabilmente da nessuna parte, visto che l’aumento scongiurato durante l’esame parlamentare della legge di stabilità è tranquillamente rientrato dalla finestra del decreto milleproroghe.

Come recita lo stesso comunicato di Palazzo Chigi diffuso al termine del Consiglio dei ministri di venerdì scorso, infatti, il testo prevede che «dalla data di entrata in vigore della conversione di questo provvedimento, con decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze, possono essere stabilite modificazioni, nella misura massima dello 0,7%, delle aliquote di accisa e di imposta di consumo che gravano sui prodotti da fumo e loro succedanei». Dove per succedanei si intendono le sigarette elettroniche, che dal prossimo primo gennaio, grazie al maxiemendamento del governo che ha cancellato le modifiche parlamentari sulla materia, verranno equiparate da un punto di vista fiscale ai prodotti confezionati con il tabacco. Tanto per essere chiari, l’aumento delle accise dello 0,7% si andrà ad aggiungere ad una percentuale attualmente in vigore del 58,5%.

Sempre nel milleproroghe ha poi trovato spazio un curioso, ma non per questo meno spiacevole, balzello sul turismo. Un’imposta che colpirà solo le isole minori. Il provvedimento ha infatti stabilito che questi comuni avranno la possibilità di istituire una tassa di sbarco fino a 2,5 euro per tutti i passeggeri che approdano sull’isola «utilizzando compagnie di navigazione che forniscono collegamenti di linea o imbarcazioni che svolgono trasporto di persone a fini commerciali».

Fin qui quello che c’è e non doveva esserci. Per quanto riguarda quello che non c’è e doveva esserci il nodo principale è quello della casa. Il governo qualche giorno fa aveva promesso un decreto ad hoc o, in subordine, l’inserimento delle misure nel milleproroghe. Nessuna delle due cose è avvenuta. I tempi, però, sono strettissimi. Il 16 gennaio si dovrebbe pagare, salvo sorprese dell’ultim’ora, la prima rata della nuova Tasi. Il problema è che il premier Enrico Letta e il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, hanno promesso ai Comuni, oltre ai 500 milioni già stanziati nella legge di stabilità, una dotazione aggiuntiva di 7-800 milioni per reintrodurre un ventaglio di detrazioni e agevolazioni equiparabile a quello in vigore con la vecchia Imu. Se le nuove risorse non arriveranno in tempo il rischio è quello, già sperimentato negli anni scorsi con effetti devastanti, di cambio in corsa delle tariffe e caos totale per i contribuenti in sede di conguaglio.

C’è poi il capitolo mini-Imu, che si dovrà pagare entro il 24 gennaio. Anche qui sul balzello surrettiziamente reintrodotto dal governo pende la promessa di alleggerire il peso della quota a carico delle famiglie che, allo stato attuale corrisponde al 40% della differenza tra l’aliquota ordinaria del 4 per mille e quella maggiorata introdotta da una percentuale altissima di comuni. A pochi giorni dal pagamento nessuno sa a quanto ammonti il bottino complessivo che dovrebbe finire nelle casse pubbliche. I sindaci stimano comunque una somma che si aggira sui 450-500 milioni di euro.

E sempre entro gennaio dovrà trovare soluzione il rompicapo del riordino delle agevolazioni fiscali. Come previsto da una delle tante clausole di salvaguardia introdotte dal governo negli ultimi provvedimenti economici, se entro il 31 del prossimo mese l’esecutivo non avrà varato una mini riforma delle detrazioni scatteranno automaticamente i famosi tagli lineari. Dall’operazione la legge di stabilità prevede maggiori entrate pari a 488,4 milioni per il 2014, 772,8 nel 2015 e 564,7 dal 2016 in poi. Se quelle risorse non arrivano scatterà come una tagliola la riduzione dell’aliquota per le detrazioni dall’attuale 19 al 18% per il 2013, quindi retroattivamente (in barba allo statuto del contribuente), e dal 18 al 17% a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014.

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