A cinque giorni dal varo del provvedimento il governo si è finalmente accorto del pasticcio Imu. Il decreto per l’abolizione della seconda rata, approvato in tutta fretta mercoledì sera per celebrare l’ingresso nell’era post-berlusconiana, si è trasformato nel più clamoroso degli autogol.
Il testo uscito da Palazzo Chigi, che attraverso kafkiani meccanismi fiscali porterà di nuovo alla cassa 10 milioni di famiglie, ora non lo difende più nessuno.
Domenica scorsa il ministro dello Sviluppo, Flavio Zanonato, ha detto fuori dai denti che «l’Imu andava tolta completamente». Graziano Del Rio, ministro per gli Affari regionali, ha assicurato ieri che «la partita non è ancora finita», augurandosi che «si riesca a fare uno sforzo ulteriore in sede di legge di Stabilità». Per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanni Legnini, le reazioni sulla mini-Imu «sono eccessive e ingenerose», ma «c’è tempo per correggere la norma in Parlamento». Pensiero condiviso dal ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, secondo cui l’esecutivo «sta cercando una soluzione affinchè il disagio dei cittadini possa essere superato». Il presidente dell’Anci, nonché sindaco di Torino, Piero Fassino, ha annunciato che nella sua città la mini-Imu non si pagherà. Mentre Matteo Renzi, pur criticando l’assurdità di un dibattito monopolizzato dall’Imu, ha ammesso le difficoltà dei sindaci, incalzando l’esecutivo perché «faccia quello che si deve fare».
Assodato che nel governo e nella maggioranza tutti concordano sulla necessità di rimediare all’ennesima figuraccia (ieri è anche esplosa una polemica sull’incostituzionalità del decreto Bankitalia, seccamente smentita dal Tesoro), resta da capire come, considerato che tra l’abolizione della prima rata Imu, compresa la clausola di salvaguardia scattata sabato con l’aumento degli acconti Ires dell’1,5%, e quella parziale della seconda, il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ha già spremuto tutto lo spremibile.
La cifra da trovare oscilla intorno ai 200 milioni Ma il conto potrebbe salire. E anche di molto. Stando al ministero delle Finanze, infatti, alla fine della scorsa settimana risultavano aver deliberato sulle aliquote Imu solo 4mila degli 8mila comuni italiani. Circostanza che complica la situazione anche sotto il profilo della tempistica, perché prima del 9 dicembre non si potrà quantificare l’esborso.
Le ipotesi allo studio, manco a dirlo, mirano tutte a pescare le risorse restando nell’ambito fiscale. Per il deputato Pd, Michele Anzaldi, la copertura potrebbe arrivare «dalla tassazione sui giochi d’azzardo». Ma il governo sarebbe orientato ad indirizzarsi ancora una volta sul versante degli anticipi. Il principale indiziato è l’acconto Iva, che scade il 27 dicembre ed è fissato all’88%, una quota assai bassa considerate le percentuali (fino al 130%) cui ci ha abituato l’esecutivo. Il problema sarà compensare tutti questi anticipi nel 2014. In cantiere ci sarebbe un altro bell’aumento delle accise. Saccomanni, però, sembra convinto che la ripresa farà tornare tutti i conti. Anche ieri da Washington il ministro ha ribadito che l’Italia è «alla svolta», spiegando che «il quarto trimestre sarà positivo» e l’economia ripartirà «per tutto il prossimo anno». Ottimismo smentito dai dati sul fabbisogno, che a novembre si è attestato a 7,2 miliardi in peggioramento di 3 miliardi sul 2012.
Intanto il fisco impazzito ci regala un ingorgo di fine anno da far drizzare i capelli. Ai 62 versamenti di ieri si aggiungono altri 70 adempimenti per il 16 dicembre.
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