giovedì 28 settembre 2017

La commissione banche rotte è una farsa

Di sicuro, per ora, c’è che la Commissione d’inchiesta sulle banche costerà ai contribuenti 150mila euro, metà a carico del Senato, metà a carico della Camera. Soldi che serviranno a consentire un funzionamento dell’organismo per un pugno di mesi, 6-7 nella migliore delle ipotesi. Periodo in cui i parlamentari dovranno anche occuparsi della discussione della legge elettorale e dell’approvazione della legge di stabilità.

Un buon affare per gli italiani e per i risparmiatori traditi? Ne è convinto Pier Ferdinando Casini, che dopo aver giudicato «inutile» l’idea della commissione ne ha accettato con entusiasmo la presidenza, per «dovere istituzionale», che viene prima delle «inclinazioni personali». Il neo presidente ha già messo in chiaro che l’organismo non sarà «un palcoscenico per la campagna elettorale» e che grazie ad un patto tra gentiluomini sarà possibile convocare le sedute anche lunedì e venerdì.
Patto che, evidentemente, deve essere ancora siglato, considerato che ieri dopo l’elezione dei vertici della commissione, con la nomina dei vicepresidenti Renato Brunetta (FI) e Mauro Marino (Pd) e dei segretari Karl Zeller (gruppo Aut) e Paolo Tosato (Lega), i lavori sono stati aggiornati alla prossima settimana, quando si dovrà votare il regolamento interno su cui l’ufficio di presidenza ha detto di volersi mettere rapidamente all’opera, già da oggi.

Il terreno di indagine è praticamente illimitato. I lavori della Commissione dovrebbero partire dalla verifica della gestione degli istituti in crisi o oggetto di salvataggio pubblico come Mps o le venete. Ma l’intenzione è quella di indagare anche sulle quattro banche finite in risoluzione Etruria, Banca Marche, Carichieti e Carife. Il Movimento Cinque Stelle ha addirittura chiesto di partire dai primi anni del 2000, ritenendo che anche l’attuale presidente della Bce, Mario Draghi, ex governatore della Banca d’Italia debba essere ascoltato in relazione all’acquisizione di Antonveneta da parte di Mps. Una volta definito il perimetro temporale e gli istituti su cui accendere i riflettori l’indagine riguarderà le modalità di raccolta della provvista, gli strumenti utilizzati e i criteri di remunerazione dei manager. Ma anche la correttezza del collocamento presso il pubblico, con riferimento ai piccoli risparmiatori e agli investitori non istituzionali, dei prodotti finanziari, soprattutto quelli ad alto rischio, e con particolare riguardo alle obbligazioni bancarie. Oggetto di indagine anche le forme di erogazione del credito a imprenditori di particolare rilievo e la diffusione di pratiche scorrette di abbinamento tra prestiti e vendita di azioni o di altri strumenti finanziari. Sotto la lente pure la struttura dei costi, la ristrutturazione del modello gestionale e la politica di aggregazione e fusione degli istituti  nonché l’osservanza degli obblighi di diligenza, trasparenza e correttezza nell’allocazione dei prodotti.

Una mole di compiti per cui non basterebbe, forse, una legislatura intera. Basti pensare alla lunga lista di audizioni che dovranno essere disposte per ottenere le informazioni richieste. Secondo i grillini la commissione nasce già morta. «Gli scheletri», dicono i parlamentari M5S, «rimarranno tutti nell’armadio. La designazione di Casini a presidente è l’atto di killeraggio definitivo ai danni dell’organismo. Possiamo celebrarne il funerale». Assai scettico pure Enrico Zanetti, che definisce la commissione «una farsa». Dopo aver rinviato per due anni la commissione, ha spiegato l’ex viceministro dell’Economia, il Pd ha messo « un presidente che garantisca che anche nel pochissimo tempo residuo non si corra il rischio di fare qualcosa».

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